giovedì 28 agosto 2014

Da Le Stagioni del Cuore - Racconti Erotici di Feriha Yilnaz

Da Le Stagioni del Cuore - Racconti Erotici di Feriha Yilnaz




























Sinossi

Sorprende lo stile di Feriha Yilnaz che nei suoi racconti cerca il rapporto che intercorre tra lo spirito e la carne. Sono racconti semplici, ma che colpiscono per l’affondo che danno alla morale della gente così detta “perbene” e che dietro il perbenismo cela l’ipocrisia.
Nel primo racconto, La Lettera, si resta indecisi su chi abbia voluto far sapere ad un marito che sua moglie non è quello che pensa. Ma chiunque sia stato, avrà una sorpresa.
Nel secondo racconto, Ritrovarsi, una donna si vendica nella maniera più crudele possibile nei confronti dell’uomo che l’ha tradita.
Nel terzo racconto, Le Mutandine di Pizzo Nero, forse il migliore dei racconti di Feriha Yilnaz, un intero paese si domanda di chi siano quelle mutandine trovate nel letto del più grande seduttore del paese. Attraverso gli occhi di una scanzonata ragazza passeremo in rassegna tutte le miserie umane.
Nel quarto racconto, Il Mediocre, un uomo comune, ne bello, ne affascinate, che si è chiesto per tutta la vita perché sua moglie, una bellissima e straordinaria donna, l’abbia sposato, verrà a saperlo casualmente da un suo amico da poco rientrato dall’estero.
Nel quinto racconto, Il Ritorno di Leo, Valeria fa di tutto per rubare ad Evelina, la sua sorellastra, il fidanzato che ella ha amato per tanti anni in segreto.
Sarebbe un vero peccato lasciarsi sfuggire questi racconti intrisi di un sottile fascino erotico, a volte appena accennato, a volte più esplicito, ma mai fine a se stesso. Feriha Yilnaz affronta il tema dell’erotismo con tono distaccato e ironico, in un’atmosfera sospesa tra la fisicità dei corpi e la spiritualità delle menti.
L’e-book è corredato di immagini e risponde alle regole del Self-Publishing. Libro ideato per Kindle fire. Per una libera e autonoma valutazione del presente e-book si invita a scaricare l'estratto che Amazon mette a disposizione proprio per questo motivo. Ciò vi fa prendere personale visione dei contenuti ampiamente illustrati nell'estratto. Si ritiene che l'estratto di Amazon sia la forma più attinente alla valutazione del prodotto, non influenzati da critiche positive o negative che possono essere lontane dalla nostra sensibilità e dai nostri gusti, se non pretestuose.

venerdì 15 agosto 2014

Il Gatto Nero – Racconto di Poe, Edgar Allan

Il Gatto Nero – Racconto di Poe, Edgar Allan

Descrizione prodotto
Sinossi
Il Gatto Nero, questo racconto lungo è nel pubblico dominio ed allora sorge spontanea la domanda: perchè comprarlo? Per una serie di motivi che vengono qui elencati:
- Il racconto è ampiamente illustrato ed annotato
- Vi è la filmografia completa del Gatto Nero con analisi critica dei film e con scene tratte dagli stessi film, nonché alcuni video. Alcuni dei film presi in esame non sono mai usciti in Italia e non vi sono recensioni web in lingua italiana.
- L'esiguità del prezzo dell'eBook.
L'eBook si compone di 67 pagine dedicate al racconto lungo Ligeia + altre 31 dedicate alla presentazione di opere del Self-Publish riguardanti argomenti vari.
Il prezzo dell'eBook si riferisce esclusivamente alle 67 pagine del racconto.

I Delitti della Rue Morgue di Poe, Edgar Allan

I Delitti della Rue Morgue di Poe, Edgar Allan

Descrizione prodotto
Sinossi
Uno dei più bei racconti di Edgar Allan Poe. Questo racconto è nel pubblico dominio e quindi liberamente scaricabile da Internet. Allora perché comprare il presente eBook?
Le motivazioni sono negli argomenti trattati che vanno al di là del semplice racconto. Essi sono: Ampia biografia di Edgar Allan Poe che tocca i seguenti temi: Primi anni della sua vita, I primi racconti, La Crisi, La Morte, La Poetica e Cosmologia di Poe, Influenza di Poe sulla cultura popolare.
L’influenza di Poe nella letteratura in generale, nella letteratura poliziesca, nella letteratura del terrore e del mistero, nel cinema, nella Musica, nei Fumetti e in altri campi.
Si riporta poi un elenco delle opere di Edgar Allan Poe suddivise per Romanzi, Racconti – Raccolte, Racconti di raziocinio, Racconti del terrore, Racconti umoristici e di satira letteraria, Poesie, Saggi, Lettere, Drammaturgie.
Si parla poi delle trasposizioni cinematografiche delle sue opere e in particolare dei film che hanno per oggetto I Delitti della Rue Morgue, di cui si riporta il Cast, la Trama e La Critica nonchè numerose immagini inerenti le locandine e le scene da film.
I film di cui si è approfondito il tema sono: Il dottor Miracolo (Murders in the Rue Morgue) - (1932), Il mostro della via Morgue (Phantom of the Rue Morgue) - (1954), I terrificanti delitti degli assassini della via Morgue, Le double assassinat de la rue Morgue - (1973), Gli assassinii della via Morgue (The Murders in the Rue Morgue), Morgue Street, regia di Alberto Viavattene (2012) – cortometraggio.
Completano l’eBook tre deliziose poesie di Edgar Allan Poe: Il paese dei sogni (annotata), Il verme conquistatore e Il castello incantato.
In breve, per un prezzo irrisorio, si ha sul proprio tablet un piccolo volumetto che per gli amanti di Edgar Allan Poe è da non perdere.

Il Mistero della Statuetta Indiana di Cristiano Lys

Il Mistero della Statuetta Indiana di Cristiano Lys

Descrizione prodotto
Sinossi
Un romanzo alla Charles Dickens con in più un pizzico di mistero alla Sherlock Holmes. In una Londra di fine ottocento, nei bassifondi di Whitechapel (famoso per Jack Lo Squartatore) si dipana una storia d’amore, di miseria e nobiltà e di un mistero che avvolge una statuetta indiana.









Estratto da Il Mistero della Statuetta Indiana


Il dottore stava seduto davanti a un fuoco a metà spento, su un vecchio e massiccio seggiolone. Accanto a lui, su un tavolo, stava una lampada coperta da un paralume — l'unica illuminazione della stanza. Tratto tratto un'ondata di fumo usciva, dalla sua grossa pipa, mentre egli stava tutto assorto nella lettura di un'opera di recente pubblicazione sulle malattie mentali.
Gli si scorgeva nel viso e nello sguardo un profondo interesse. Di tanto, in tanto, esclamava forte:
«No, no, non vi è nulla che lo provi».
«E' una illusione». 
«Sì, è giusto, lo sperimentai, anche io».
Improvvisamente guardò alle pesanti tende che stavano davanti alla finestra. Le fissò un momento come se si aspettasse di vedere qualcuno. Un brivido correva lungo la stoffa, come se venisse scossa da una mano invisibile.
La finestra non chiude bene, — disse il dottore a mezza voce. — Domani la farò aggiustare.
Poi tornò al suo lavoro. Strano, non gli riusciva più di concentrarsi come prima. Cambiò posizione alla lampada perchè gettava un'ombra. Non poteva reggere in mano il libro, perchè troppo pesante e se l'appoggiò alle ginocchia, curvandosi per poter leggere, ma la testa faceva riparo alla luce, onde spostò un'altra volta la lampada per sfuggire l'ombra.
Intanto il cuscino del seggiolone era caduto in terra ed egli non trovava più una buona posizione. Chiuse con un atto di impazienza il libro e fissò di nuovo la finestra. Quale fu la sua sorpresa! Dalle tende usciva fuori una grossa testa, dalla carnagione nerissima, con due occhi che lo guardavano fisso fìsso. La bocca semi aperta lasciava scorgere una fila di denti bianchissimi. L'espressione del viso era stupida.
Che fate qui? — chiese il dottore, dopo un momento, riavutosi dalla sorpresa, e dopo essersi munito di un lungo coltello che pendeva accanto al fuoco. Intanto la tendina si era alzata, ed un uomo entrava nella stanza.
Aveva in capo un turbante, i suoi piedi, apparentemente senza calze, portavano delle vecchie scarpe troppo larghe; un palo di calzoni corti, logori e tutti toppe, una specie di camiciotto bianco come sogliono portare i pittori, una camicia di flanella abbottonata stretta intorno al collo, senza cravatta, formavano il suo abbigliamento. Egli era molto alto: aveva le braccia e le gambe lunghissime; le prime gli giungevano fino alle ginocchia. La testa era straordinariamente grossa.
Come avete fatto a venir qui? — chiese il dottore alzandosi dal seggiolone, pronto ad un attacco.
Nulla pareva più lontano dal suo pensiero quanto un attacco. Gli fece un profondo inchino.
Entrai qui dalla porta, mentre il Sahib era fuori, — disse in un buonissimo inglese.
Per quale motivo?
L'uomo segnò col dito le tendine, dalle cui pieghe era uscito fuori.
Per nascondermi...
E perchè volevate nascondervi là?
Perchè il Sahib ha un brutto coltello? Io non sono un nemico. Sono un amico.
Perchè volevate nascondervi là dentro? — gli ripetè un'altra volta il dottore additandogli le tende senza però mai lasciare il coltello.
Perchè avevo sentito dire che il dottor Kingsford è un uomo buono e generoso, benedetto dai poveri come un inviato di Brahma: che consiglia e conforta gli infelici aiuta gli stranieri, guarisce gli ammalati. Non ho mai incontrato un uomo che assomigli a lui, in questo strano paese. E volli venire a vedere questo dottore per consultarlo.
Siete ammalato?
No, sono uno straniero e vorrei domandare aiuto e consiglio al buon dottore.
Egli aveva un'aria tanto inoffensiva, che il dottore posò il coltello.
Ora, amico mio, ditemi la ragione per cui vi nascondeste colà invece di entrare per la porta.
L'individuo alzò una delle sue lunghe braccia, piegò il capo da un lato, come se la domanda non richiedesse una risposta.
Se fossi entrato dalla porta di casa, mi avrebbero detto: Andatevene, il buon dottore ha da fare. Usai dunque questo strattagemma perchè altrimenti non sarei riuscito a vedere il buon dottore.
Kingsford sorrideva.
Sapete che vi sono di quelli che sarebbero andati su tutte le furie dinanzi a un fatto simile? — disse.
Lo so, ma il dottore no, certo. Ho sentito parlare del dottore...
Bene, ora che imi avete visto, ditemi quello che volete — disse Kingsford, ansioso di toglierselo dai piedi.
Un consiglio! — fu la strana risposta.
Questo è presto dato: non andate in giro nelle camere altrui, come avete fatto con me.
Via, non siate in collera con me.
La sua voce era tanto supplichevole, mentre stendeva le sue lunghe braccia in atto di preghiera verso il dottore.
Sono straniero in un paese che non conosco. Qui mi trovo così diverso dagli altri! Quando vado in giro a cercare qualcosa per mangiare, mi ridono dietro perchè non rassomiglio a loro! Quando cammino i monelli mi corrono dietro schernendomi. Quando domando: Datemi del lavoro, sono un buon lavoratore e vi domando poco compenso, il padrone mi scaccia e gli altri mi ingiuriano.
Il dottore non rispondeva.
Eppure posso giurare che sono un inglese come gli altri, tranne che nel viso. Il viso è hindù.
Il dottore rise forte, per l'idea che si faceva l’hindù dell'inglese.
Che posso io fare, per voi? — gli chiese.
Il buon dottore mi aiuterà. Egli è solo. Quando il povero viene a trovarlo va egli stesso ad aprire, e gli dice: Entrate. Il dottore è solo, in mezzo a tutte queste cose — e si guardava attorno, — e tutte queste cose hanno bisogno di cura. Il dottore sporca ed ha bisogno di qualcuno che tenga pulito. Io voglio vivere col buon dottore. Ram Khan è un buon servitore. Egli avrà cura di tutto e del dottore.
Tacque guardando ansiosamente Kingsford, aspettando la sua risposta.
Amico mio, io non ho punto bisogno di un servitore.
Sì, dottore, voi ne avete bisogno, molto bisogno. Guardate qui che polvere!
E passò la mano su uno scaffale vicino al fuoco, ridendo del segno lasciato.
Ma io pure sono povero.
Così mi dissero. Ma il buon dottore è ricco qui, — e si pose la mano sulla testa. — Egli sa tutto. Tutti i mali scompaiono appena li vede! Egli è ricco qui, — e si pose la mano sul cuore. — Ram Khan lo sa. I bambini sorridono quando lo incontrano per via e gli uomini s'inchinano profondamente. Ram Khan sarà ricco pure lui, perchè il buon dottore è suo amico.
Kingsford non sapeva cosa dire.
Dove dormite stanotte?
Qui, — rispose l'hindù prontamente.
Al dottore non sorrideva punto quell'idea.
No, non stanotte. Devo prima pensarci. Tornate domani.
Domani?
.
Grazie mille, dottore, grazie mille.
E un'altra volta non nascondetevi più.
No, feci questo prima che il buon dottore fosse mio amico.
Kingsford tirò indietro la pesante tenda che stava davanti alla porta.
Buona notte.
Domani.
Sì, domani!
Il dottore rimase sull'uscio finchè l’hindù ebbe disceso l'angusta scaletta della vecchia casa e fu sulla via, poi chiuse la porta e tirò il chiavistello.
Ecco un'avventura — mormorò. — Una strana avventura. E così, domani, Ram Khan sarà il mio servitore, eh!
Attizzò il fuoco, alzò la luce alla lampada, lanciò il giornale attraverso la stanza su una statuetta che rappresentava un bambinetto seduto su un trono, posata su un piedestallo nell'angolo opposto, urtando il piccolo berrettino di seta nera che il dottore, alle volte, metteva nel fare certi esperimenti e che egli aveva posato di traverso sulla testa di quell'immagine, dandole un'espressione di grande comicità malinconica.
Il dottore guardò l'orologio.
Le dieci... Bisogna che io vada dalla signora Berry. Poveretta! Essa non vivrà molto a lungo, ho una gran paura!
Si pose il cappello in testa, un pesante pastrano sulle spalle, abbassò la luce della lampada e dopo aver puntato un cartellino sulla porta esterna di casa col quale avvertiva che fra una mezz'oretta sarebbe stato di ritorno, e che qualsiasi avviso venisse messo nella cassetta delle lettere, scese le scale e si trovò in mezzo alla nebbia.
Maurizio Kingsford, dottore in medicina, in Londra, aveva dovuto sempre lottare nella vita. Glielo si vedeva nella persona, che dimostrava più anni di quanti ne avesse, poiché in realtà non aveva più di trentacinque anni, nella sua conversazione, che aveva un non so che di amaro e di cinico, e nel suo carattere corazzato a tutte le vicissitudini e, per così dire, d'un pezzo solo.
Suo padre, pastore anglicano, privo di mezzi di fortuna, con uno stipendio modicissimo, pure, dovendo tenere un certo decoro, aveva sudato sangue per dargli un'educazione conveniente, ed il figlio, da parte sua, aveva lavorato e studiato come pochi giovani fanno per alleggerire al padre pene e fatiche.
Quando il pastore morì improvvisamente, lasciandolo solo al mondo, senza una relazione, senza un amico e senza un quattrino, egli aveva venti anni. Nessuno s'immagina quali sacrifici fece per poter continuare i suoi studi.
Abitava una soffitta: i suoi abiti erano decenti a forza di cure e molte volte rinunziava al pranzo per potersi comperare un libro. In collegio era considerato come un originale. Con tutto ciò non lo detestavano, ma evitavano di stargli insieme, come uno di cui non si capisce il carattere.
Maurizio Kingsford non domandava di meglio: egli non aveva bisogno di compagnia, bastava a sè stesso. Fortunatamente egli era dotato di un temperamento di ferro, e la cattiva nutrizione e l'eccessivo lavoro non indebolirono la sua salute, per cui con la sua volontà, a tempo debito, prese la laurea.
Ma se le ansie, le privazioni, le cure d'ogni specie non ebbero influenza sulla sua salute, lo ebbero però sul suo carattere. Egli pensava e sentiva come un invecchiato molto prima del tempo.
Della vita non conosceva che il lato brutto, ed ignorava che ve ne esistesse un altro. Il destino gli era stato così avverso! Cosa tristissima e pericolosissima per la gioventù, quando le più lievi cose lasciano una impressione, quando ogni seme che cade nella nostra mente è pronto a prendere radice.
Ed i semi così gettati produssero una strana messe nel carattere di Maurizio Kingsford. Egli era naturalmente un pensatore. Gli studi gli avevano dato la facoltà di pensare molto e bene, se non sempre saggiamente.
Era un uomo probo, onesto, sprezzatore delle azioni meschine, aveva un carattere calmo e malinconico, affettuoso e saggio, consigliere verso colui che si rivolgesse a lui. Insomma, era un uomo generoso.
Ma le cattive erbe erano pure cresciute! Era invidioso, aspro, cinico, diffidente, non credeva nella scienza se non in quello da lui sperimentato, ed era poco religioso. Ma egli non faceva pompa delle sue idee, le teneva chiuse in sè e, forse, desiderava di credere più di quanto glielo concedesse il suo carattere, ed invidiava quelli che avevano più fede di lui.
Insomma, per quanto le cose ora gli andassero bene, e riuscisse in ogni cosa, pure la sua non era una vita che lo contentasse. Egli avrebbe avuto bisogno di un raggio di sole, di un amico, di qualcuno da poter amare e incoraggiare.
All'epoca in cui comincia questo racconto, il dottore aveva trentacinque anni, una struttura solida, non molto alto, ma snello, e i suoi capelli neri cominciavano a brizzolare sulle tempia. Era completamente sbarbato, aveva degli occhi neri e vivi. Uno straniero, a prima vista, avrebbe sentito subito simpatia e confidenza per lui, ma l'uomo o la donna che lo avessero conosciuto meglio, lo avrebbero diffìcilmente amato.
Gli anni gli avevano addolcito il carattere e ne avevano messo in luce i lati buoni, ma il raggio di sole non era giunto ancora. La gemma esisteva, ma aveva bisogno di luce e di colore per svilupparsi.
Da cinque anni egli aveva incominciato a esercitare nell'East End di Londra. Il lavorare tra i poveri gli piaceva. Sentiva per loro della simpatia ed essi gliela ricambiavano. Egli aveva vissuto quei cinque anni in un appartamentino sopra la bottega di un confettiere in West Street Witechapel.
Il suo nome era scritto su una targhetta di ottone, fissata sulla porta di casa che rimaneva sempre aperta perchè il dottore aveva una numerosa clientela. La casa dove abitava era un vecchio caseggiato mezzo in rovina, in una delle vie più povere del quartiere, ma appena entrati nel suo appartamento, si rimaneva sorpresi.
Aveva tre camere che mettevano in una piccola anticamera la quale aveva un uscio sulla scala. Una di queste era la sala dei consulti, la sua bottega, come usava chiamarla; una camera piena di bottiglie, di tubi di medicinali, con degli odori strani, perchè il dottore era uno sperimentatore.
L'altra era la sua camera da letto, piccola, ammobiliata del puro necessario. La terza era quella che abitava, ed era appunto quella che sorprendeva. Era larga e spaziosa. Alle finestre e alla porta pendevano pesanti tende, un tappeto soffice copriva il pavimento, un pesante camino in noce e dei ricchi mobili intarsiati ornavano la stanza.
Ai muri pendevano delle vecchie stampe di prezzo, unite a strani ma simpatici paesaggi: vi era uno scheletro con una corona avvolto in una ricca stoffa, e altri attorno a lui, rivoltanti nella loro orribile realtà.
Armi d'ogni nazione pendevano in artistici gruppi. Della porcellana cinese stava esposta in due armadi a vetro. Nella parete opposta alla finestra stavano dei libri, la maggior parte opere di medicina e opere scientifiche.
Uno scrittoio coperto più di libri che di carte stava vicino alla finestra. L'arte e la scienza, la bellezza e la ributtante realtà, erano stranamente riunite in quella stanza. In un angolo, come già dicemmo, su un piedistallo di marmo stava una statua.
Era una figura in legno lavorato con molta arte, seduta, con le mani sulle ginocchia, la testa china e gli occhi che parevano chiusi. Essa attirava l'attenzione di chiunque entrasse nella stanza, come di una cosa che non fosse al suo posto, come se essa dovesse arrossire di non trovarsi in un tempio.
Tuttavia essa aveva una espressióne sinistra. Si sarebbe detto che essa dovesse alzare improvvisamente gli occhi e fissarvi in viso. Questa stanza era il paradiso di Maurizio Kingsford.
Povero come era, egli aveva fatto di tutto per dare una impronta di ricchezza a quel luogo a lui caro, privandosi spesse volte delle cose più necessarie alla vita, per raggiungere questa sua idea.
Giunto nella strada, Kingsford si abbottonò ben bene il pastrano, mentre attraversava West Street, poiché la notte era umida e nebbiosa. Svoltò in un vicoletto e si diresse verso un enorme edilìzio chiamato Black's Building, dove abitava la sua ammalata, la signora Berry.
La trovò molto debole. Un sorriso di soddisfazione le illuminò il viso quando vide entrare il dottore. Egli si fermò un po' benché sapesse perfettamente che non ci fosse più speranza per lei.
Uscito di là, si avviò di buon passo verso casa sua riflettendo a quanto avrebbe detto l'indomani al suo strano amico. Egli non aveva per nulla bisogno di un servitore, ma non sapeva come sbarazzarsi dell'hindù, e in pari tempo non voleva trattarlo male.
I suoi pensieri furono interrotti nel passare davanti a un'osteria, sull'angolo della via. Un fascio di luce partiva dì là, illuminando la via oscura. Si udivano suoni, canti e risa. Un crocchio di persone stava osservando dietro ad una porta vetrata e rideva di quanto succedeva là dentro.
Un uomo ed una donna, ubriachi entrambi attraversavano la sala a sbalzi. In mezzo a loro un bambino il teneva per mano per aiutarli. Era uno strano spettacolo.
Nonostante il loro stato d'ebbrezza, avevano tutti e due l'aria di arrossire della loro condizione e cercavano di camininare il più diritto possibile. Il loro piccolo guardiano li trascinava con l’aria soddisfatta.
Aveva una fisionomia bella e interessante benché non avesse ne la freschezza né i lineamenti dell'infanzia. Il suo abito vecchio e logoro gli pendeva da tutte le parti e si capiva che era stato fatto per un'altra persona.
Il dottore si arrestò. Egli li conosceva. Non era la prima volta che vedeva quel piccolo uomo guidare i suoi genitori a casa. Li aveva conosciuti quando abitavano Black's Building, dove alloggiava molta della clientela del dottore.
Buona sera, Polony — disse, mentre gli passavano accanto.
Il ragazzo scosse la testa.
Egli non vi riconosce.
Succede loro spesso?
Quasi tutte le sere.
E continuarono la loro strada andado a sbalzi
Gli spettatori che stavano sulla strada non li motteggiarono, come si sarebbe supposto. Avevano purtroppo familiarizzato con quello spettacolo e provavano pena per il bambino. Il dottore sospirò e si avviò verso casa.
Una voce accanto a lui disse:
Quale doloroso spettacolo!
Si voltò e vide un vecchio a lui sconosciuto, appoggiato ad un bastone che seguiva con lo sguardo i tre disgraziati. Il dottore non sapeva se l'osservazione del vecchio fosse rivolta a lui.
Maledetto il vizio del bere!
Avete ragione, signore — disse Kingsford. — Quel bambino trascina quasi ogni sera i
due ubriachi a casa. Mi domando ohe sarà di lui! Lo avete osservato?
Sì, un vecchio viso, quasi come il mio.
Ma nel vostro vi si legge la speranza mentre nel suo no.
Lo sconosciuto lo guardò.
Credete proprio? M'immaginavo che la speranza fosse per sempre fuggita da me.
Il vecchio interessava il dottore. Evidentemente egli era un signore malgrado il suo vestire dimesso.
Non sono avvezzo riflettere troppo su quanto vedo a Whiteehapel — continuò il dottore. — Forse voi non lo conoscete quanto me.
Può darsi... io vado sovente fuori. Pure ho vissuto in questo quartiere molti anni.
Davvero?
Sì, e morirò qui senza dubbio.
Il dottore diede una leggera scrollatina di spalle.
Tutti dobbiamo morire, ma che importa un luogo più di un altro...
O quando! — aggiunse il vecchio.
Nelle vostre parole non trapela troppa speranza — disse Kingsford. — Noi dottori, avvezzi a veder morire, si finisce col diventare indifferenti ed a dimenticare il terrore della morte.
Sì, finché non giunge a casa vostra, perchè, dottore o no, la morte è pur sempre una grande misteriosa e terribile dea.
Avete ragione.
Così, voi siete dottore? Mi permettete di chiedervi il vostro nome?
Kingsford, Maurizio Kingsford.
Ah! Ho udito parlare di voi. La mia figliola va qualche volta a visitare i poveri ed essi le parlano di voi. Mi chiamo Forsythe. Spero ci conosceremo meglio. Buona notte.
Attraversò la via lentamente,, lasciando Kingsford solo, sorpreso di quell'individuo che non sapeva come classificare.
Forsythe! Non ho mai udito questo nome. Probabilmente non lo rivedrò mai più, quindi è inutile che mi secchi oltre cercando di ricordarmi il suo nome. Certo il bere è un brutto vizio, però in una sera come questa, un buon fuoco, con un bicchiere di whisky caldo, ed una pipa, è la migliore delle cose.

E se ne andò frettoloso a casa per godersi quella soddisfazione.

L’Oscuro Delitto di Wind Park di Arnoldo Galoppini

L’Oscuro Delitto di Wind Park di Arnoldo Galoppini

Descrizione prodotto
Sinossi
Siamo in Australia, in un periodo imprecisato tra il 1925 e 1930. In un villa situata non lontana da Melbourne, a Wind Park, viene trovato morto Hugh Chancer. La polizia è portata a pensare ad una morte naturale, ma alcune circostanze portano l’investigatore privato Leblanc a riconsiderare i fatti. E benchè non appoggiato da nessuno, intraprende una indagine privata che lo porterà ad una scoperta sorprendente.
eBook di 190 pagine di cui 105 inerenti il romanzo L’Oscuro Delitto di Wind Park.





Estratto da L’Oscuro Delitto di Wind Park


Come sono riuscito a condurre a capo ciò che s'è chiamato l’oscuro caso di Wind Park?
E'  semplicissimo! Voglio dire: è semplicissimo a raccontare.
Come tutti gl'inglesi di buona razza, sono metodico, perchè stimo che col metodo si arrivi a una precisione di memoria straordinaria.
E ci vuole della memoria per esercitare l'arte così complessa del poliziotto privato: dico privato e non ufficiale. Prima di tutto, sono figlio d'un gentiluomo. Mio padre, Arthur Edgard Leblanc, era uno dei coloni più onorevolmente conosciuti dell'ovest australiano.
Il poliziotto ufficiale non è mai un gentiluomo ed è quasi sempre un cattivo segugio perchè manca precisamente di ciò che fa appunto la nostra forza: il metodo.
Il metodo non si apprende. Ciascuno se lo crea secondo le proprie attitudini o la propria disposizione di spirito.
Il poliziotto subalterno applica servilmente le norme dategli dal superiore, questi s'inchina innanzi a quelle dategli dal suo capo, il quale, a sua volta, se ne riporta al proprio, e così di seguito risalendo per la gerarchia, fino al lord capo di giustizia.
Di modo che non v'è in tutto il regno che una maniera d'istruire ufficialmente tutti i casi penali, quando invece per ciascuno si dovrebbe trovare un'abilità particolare ispirata dall'analisi del caso stesso.
Così, i poliziotti ufficiali, in generale, non riescono a nulla, e talvolta ricorrono a noi per disperazione.
Fu precisamente così per il delitto di Wind Park.
Ecco il fatto.
In un caldo pomeriggio di luglio, mi trovavo nella mia casa di Broad-West, in compagnia di alcuni intimi: Michael Perkins, un amico di collegio, Gilbert Crawford, il milionario mio vicino di campagna, e la deliziosa signorina Edith.
Di Edith ci sarebbe molto da dire, mi basti raccontarvi che è alta, snella, bruna, con due occhi maliziosi, un seno degno di una dea, cha a volte copre a malapena, e che…. Ma forse è meglio che mi fermi qui e che torni all’argomento principale di questa narrazione.
Quello che è più interessante ricordare è che era di domenica e che facevamo in quattro una partita di «scouring».
Questo punto merita un momento di attenzione, perchè fìssa per me il principio del racconto. E', se si vuole, il colpettino di pollice che mette in moto automaticamente nella mia memoria metodica una serie di quadrettini, simili a prove cinematografiche, i quali compongono da soli il dramma visuale che io ho classificato nella mia terza circonvoluzione frontale, sotto la scheda:. Wind Park.
Giocavamo, dunque, allo «scouring», e il signor Crawford, il milionario, aveva battuto il dieci di bastone, quando in quello stesso momento il mio vecchio Jim picchiò tre colpettini alla porta del salotto.
— Oibò, ancora l'«alarm-knock», — esclamò Michael Perkins, gettando rabbiosamente le carte sulla tavola, e questo proprio nel minuto in cui il gioco diventava interessante. — Bisogna credere che il diavolo non possa soffrire lo «scouring.»
— Non il diavolo, — feci, levandomi, — ma senza dubbio qualche cosa di peggio... Raccogliete il vostro gioco, Perkins. Forse non ne avrò per molto.
Così dicendo, cavai l'orologio, che è un buon cronometro di fabbrica inglese, e aggiunsi:
— Il nostro amico Crawford ha battuto una carta, questa carta è di bastone. Ricordate bene questo, vi prego. In tutte le azioni della nostra vita, bisogna riportarsi a dei procedimenti mnemonici. Ora, questo colore significa speranza. Speratevi, dunque, senza contarvi troppo. Questa carta di bastone è un dieci. Aspettatemi dieci minuti, e se trascorso questo tempo, cioè alle 3.45, non sarò riapparso, riprendete pure la partita senza il vostro servitore.
Così dicendo, mi congedai dai miei ospiti. Mi parve, quando richiusi la porta, sentire al mio riguardo una certa osservazione che qualcun altro avrebbe giudicata scortese... ma non io. Una reputazione di originalità, anche in casi in apparenza indifferenti, non mi dispiace affatto.
Passai dunque nel mio gabinetto da lavoro.
Mi aspettava un uomo seduto in una poltrona, e riconobbi subito uno di quei funzionari di cui parlavo poco fa, i quali fanno un po' come quelle matrone di villaggio quando la loro esperienza ha già compromesso tutto.
— Ah, siete voi, Mac Pherson, — feci andando verso il guastafeste. — Che c'è ancora... un delitto?
— Forse, signor Leblanc.
— Una morte, almeno?
— Sì, signor Leblanc.
— Misteriosa?
— Alcuni dicono di sì, altri sono di parere assolutamente opposto.
— In breve, di che si tratta?
— Ecco. Senza dubbio avete sentito parlare del signor Hugh Chancer, sapete, quel vecchio originale che abita a Wind Park?
— Perfettamente... E questo signor Chancer è morto?
— Come, lo sapete già!
— Ma se me l'avete detto voi... Vedete, Mac Pherson, vi presentate in casa mia per intrattenermi su una morte sospetta, e cominciate il racconto su Hugh Chancer. Il meno che io possa fare è di dedurne che il signor Chancer sia la vittima,.. Continuate, vi prego.
— Infatti, il signor Chancer è stato trovato morto questa mattina nel suo gabinetto da lavoro... Avevamo in principio, io e l'ispettore capo Bailey, concluso per una morte naturale, quando una cameriera è venuta a fare una deposizione che ha intricato tutto... Ketty, si chiama così questa ragazza, pretende di aver sentito verso la mezzanotte delle grida di aiuto che venivano dalla stanza del padrone... Afferma di aver veduto inoltre, al chiarore della luna, un uomo che scalava il muro del parco... Tutto questo è assai strano e vi confesserò che, per parte mia, non ne credo una parola.
— E su che vi basate, Mac Pherson, per respingere a priori le dichiarazioni di questa Ketty?
— Su che? Ma, perbacco! Prima di tutto sulla mia esperienza, e quindi sulla mia inchiesta... Per arrivare fino al signor Chancer siamo stati obbligati, io e Bailey, a sfondare la porta del suo gabinetto che era chiusa dal dì dentro con un solidissimo catenaccio d'acciaio... Parimenti un'altra porta era chiusa a catenaccio... Quanto alle finestre, esse erano tutte chiuse ermeticamente... Per me, vedete, il signor Chancer, che era grossissimo e molto acceso in viso, è morto di una congestione. Intanto, siccome è stata pronunziata la parola delitto i vicini del defunto reclamano il vostro intervento, sono venuto per ordine di Bailey a sentire se acconsentireste a occuparvi di questa faccenda.
Feci col capo un cenno affermativo. L'avventura m'interessava.
La breve relazione udita era bastata per farmi ancora una volta toccare con mano la strana incapacità della polizia.
Premetti un bottone elettrico e immediatamente entrò il mio domestico.
— Jim, — ordinai, — il mio grosso soprabito grigio.
— Con questo caldo, signor Leblanc?
— Avete compreso, Jim? Da quando bisogna ripetervi, un ordine una seconda volta?
Jim sparì dietro la porta e riapparve subito col soprabito.
— Avanti — dissi a Mac Pherson.
Discendemmo e vidi fermo innanzi alla casa una carrozza nella quale si trovava l'ispettore capo Bailey.
Questo funzionario aveva temuto, senza dubbio, venendo lui stesso a implorare il soccorso di un dilettante, di compromettere la buona fama della sua amministrazione, e mi aveva mandato il segretario.
— Buon giorno, signor Leblanc! — egli disse con aria fredda.
— Buon giorno, Bailey. Ebbene, pare che abbiate bisogno di me?
L'ispettore ebbe un impercettibile movimento di spalle di difficile interpretazione, ma io mi contentai di sorridere, avvezzo com'ero alle maniere un po' libere di quel poliziotto senza finezze mondane.
Nel momento che stavo, per varcare la soglia della porta, fui raggiunto dal signor Crawford.
Il mio ricchissimo vicino aveva il cappello in testa e sembrava un po' confuso.
— Scusatemi, — disse, — ma ho appreso che voi partite per Wind Park.
— To'... siete già al corrente?
— E' colpa vostra, mio caro Leblanc. Voi parlate un po' forte, e abbiamo sentita tutta la vostra conversazione con l'agente Mac Pherson. Volete permettermi di accompagnarvi?
— Con piacere.
— Ho letto molto Conan Doyle e non mi dispiacerebbe di vedervi un po' al lavoro, mio caro Leblanc. Una fantasia, che volete! Così è inteso che sono dei vostri... Lasciatemi allora condurvi con la mia automobile. Così in pochi minuti saremo a Wind Park... Con questa carrozza ne avreste per un'ora.

— Accetto, — feci sorridendo. — La signorina Edith e Perkins saranno ridotti a fare una partitina a quattr'occhi.

Il Tenebroso Bosco dei Misteri di Gustavo Giorgio Arnoldi

Il Tenebroso Bosco dei Misteri di Gustavo Giorgio Arnoldi

Il professore William Sparrow, una sera, mentre sta attraversando, con la propria bicicletta il bosco di Guilford per andare a casa ode un grido. Incuriosito si dirige verso quel grido e scopre così il cadavere di un uomo che è stato appena strangolato. Senza perdere tempo corre al villaggio e avverte sia la polizia che il medico condotto: il dottore Dick Henshaw.
Una sorpresa li attende nel bosco: il cadavere dello strangolato è scomparso. Sia la polizia che il dottor Henshaw si chiedono se il professore Sparrow non abbia bevuto o se non soffra di allucinazioni, ma il ritrovamento di alcune macchie di sangue e di una miniatura raffigurante una bellissima ragazza li fanno ricredere.
Per il curioso dottor Henshaw si presentano molti quesiti da risolvere. Chi ha ucciso quell'uomo e perchè? Chi ha portato via il corpo durante l'assenza del professore e dove l'ha occultato? Che parte ha nella faccenda l'uomo di cui il professore ha udito i movimenti? Chi ha lasciato cadere la miniatura? Chi è la fanciulla del ritratto?
Inoltre il delitto è avvenuto nella tenuta del Marchese de Cerennes, proprietario del Castello di Guildford. E per il dottor Henshaw è un rebus il perchè un francese si sia installato in un villaggio inglese così tranquillo e privo di attrattive. Inoltre il francese non esce mai di casa ed è sempre circondato da una quantità incredibile di stranieri.
Un giallo serrato e pieno di ritmo e mistero.


Estratto da Il Tenebroso Bosco dei Misteri


Per la quarta volta il fanale della bicicletta si spense e per la quarta volta il professore William Sparrow scese per riaccenderlo, brontolando minacce contro il mondo che, in fondo, non era responsabile dei difetti del fanale. Spinse la macchina verso un lato dello stretto sentiero, e l'appoggiò contro il ciglio erboso. Accomodato il lucignolo, si frugò in tasca cercando i fiammiferi e ne accese uno.
La notte era stranamente tranquilla; pur essendo estate, nulla muoveva gli alberi che si innalzavano da ogni lato e i cui rami s'incrociavano formando una galleria naturale. Il fogliame impediva l'accesso alla luce, tantoché nel sentiero regnava il buio più profondo. Anche gli animali, che di solito riempivano la notte con le loro grida e i loro movimenti, sembravano intimoriti dal silenzio e dall'oscurità. Il professore, curvo sulla bicicletta, pareva l'unico essere vivente.
Improvvisamente echeggiò un grido: s'innalzò acuto e chiaro, riempiendo l'aria di terrore, e dileguò a poco a poco in una specie di gorgoglio gutturale terribilmente inumano. Presto si spense e il silenzio regnò di nuovo, più profondo che mai.
Il professore rimase immobile, come inanimato, finché il fiammifero acceso gli bruciò le dita. Probabilmente non lo avrebbe ammesso, ma effettivamente il cuore gli batteva più celere e il suo respiro era più lento di quanto non fosse un momento prima. Rimase accanto alla macchina forse per un minuto, ascoltando attentamente.
Soleva vantarsi che non v'era cosa o individuo capace di spaventarlo e, come uomo di scienza, poco s'impressionava del soprannaturale. Tuttavia, o per effetto del silenzio e dell'oscurità, o perché vi fosse veramente un che di irreale in quel grido, egli sentì un brivido corrergli lungo la schiena e la bocca farsi secca in modo inusato.
— Che il diavolo lo porti! — disse ad alta voce. — Queste sciocchezze non si fanno, caro Sparrow! Anche se siete avanti negli anni, non dovete spaventarvi per un rumore nell'oscurità. Dovete invece andare a vedere di che si tratta.
Il suono della sua voce lo riportò sulla terra. Il grido proveniva, a quanto poteva giudicare da una macchia, dall'altra parte del sentiero, forse a qualche diecina di metri da lui. Attraversò la strada e si arrampicò sul ciglio che sovrastava il sentiero di circa un metro, ed era guarnito da una folta siepe spinosa.
Egli l'attraversò di forza. C'era troppa oscurità per poter scorgere qualcosa, ma il professore era sicuro del terreno come se lo avesse calpestato durante tutta la sua vita: davanti a lui era alberato per un centinaio di metri, al di là si stendeva il parco circostante il Castello di Guildford.
Queste nozioni non potevano però aiutarlo a trovare chi aveva gridato nella notte. Si fermò presso la siepe e cercò di scrutare nella profonda oscurità del bosco. Ma, impazientito, abbandonò subito il tentativo.
— Con questa oscurità non si può vedere neppure un elefante — pensò.
Portò le mani alla bocca e cacciò un urlo che echeggiò lontano attraverso gli alberi. Tese allora le orecchie aspettando una risposta che non venne. Gridò di nuovo, ma senza migliore risultato.
— Vado a casa — disse a sè stesso, con irritazione. — Non credo di avere udito quel grido. Devo averlo immaginato.
Rimase un istante pensieroso sul da farsi, e proprio allora, come risposta alla sua interna domanda, udì un rumore lontano alla sua destra, tanto debole che se ci fosse stato del vento si sarebbe perduto, ma in quel silenzio era stato perfettamente percettibile.
Qualcuno aveva picchiato contro del legno, probabilmente, un tronco d'albero. Era un piccolo rumore, aveva però un grande significato, perchè denotava la presenza di qualcuno nel bosco, qualcuno che, per delle ragioni personali, voleva restare sordo alle grida del professore.
Certamente, chiunque avesse potuto giustificare onestamente la propria presenza in quel luogo, avrebbe risposto. Il professore, ancora più incuriosito, avanzò nella direzione da cui era venuto il rumore: si muoveva con precauzione, ma le foglie e i rami caduti gli scricchiolavano sotto i piedi.
Evidentemente era impossibile procedere senza rumore e perciò si mise a correre attraverso il bosco. I rami più bassi gli sferzavano il volto e più di una volta inciampò. Tuttavia continuò affrettandosi, noncurante di tutto, desideroso soltanto di trovare l'uomo che aveva prodotto quel suono. Una volta si fermò di colpo e ascoltò.
Dei rumori vaghi giungevano sino a lui, ed egli ne fu soddisfatto: qualcuno veniva verso di lui aprendosi il cammino attraverso gli alberi. Il professore riprese a correre fin quando inciampò di nuovo: questa volta perdette l'equilibrio e cadde con fracasso.
Si alzò lentamente sulle ginocchia sporgendo una mano e per un momento cercò a tentoni nel buio: poi si alzò di scatto. L'oggetto contro cui aveva inciampato era un corpo umano e con la mano aveva toccato un volto.
Accese un fiammifero. La fiamma tremolò un poco, poi brillò più alta ed egli si chinò a guardare l’ammasso confuso giacente  sul terreno.
— Morto — si disse — morto stecchito!
Sbottonò la camicia grossolana e posò la mano sul cuore dell'uomo per avere conferma al suo verdetto. Non ebbe più dubbi. Il corpo era ancora caldo, ma l'uomo era proprio morto. La causa della morte non fu lunga a trovarsi. Intorno al collo aveva una striscia rossa, la faccia era paonazza, gli occhi sporgevano dalle orbite, e il labbro inferiore abbassato lasciava vedere la lingua gonfia e tumefatta.
— Strangolato, per Giove! — pensò il professore. — Ecco perchè ha urlato!
Accese un altro fiammifero. Siccome conosceva tutti gli abitanti dei dintorni, e la vittima non era fra queste sue conoscenze essa doveva essere forestiera per Guildford. Sembrava un uomo robusto, dalle fattezze poco piacenti, quasi calvo, e vestito di un logoro abito nero.
Al suo fianco giaceva un sudicio cappello di feltro. Il professore spense il fiammifero e si pose a riflettere sulla strana tragedia che metteva un improvviso subbuglio in quel quieto paese inglese.
— Ora dovrò avvertire la polizia — borbottò. — Bisogna far prendere in trappola l'assassino.
Ritornò indietro fino al sentiero. Poi, senza badare se il fanale era o no acceso, balzò in sella e pedalò furiosamente verso Guildford dove già era diretto quando quel grido lo aveva fermato.
Oltrepassò la sua casa, un casolare rimodernato, e giunse ad un largo spiazzo erboso intorno al quale sorgevano le case del villaggio. A sinistra c'era una piccola villa coperta di edera con la placca azzurra della Polizia della Contea di Surrey sull'ingresso.
Picchiò vigorosamente alla porta centrale e aspettò con impazienza. Erano poco più delle undici e gli abitanti di Guildford si coricavano presto. Picchiò ripetutamente finché qualcuno sporse il capo da una finestra più elevata. Il professore riconobbe il conestabile locale.
— Su William — gli gridò. — Vestitevi alla meglio e venite giù, c'è del lavoro per voi.
L'uomo borbottò qualche cosa d'incomprensibile e sparì. Dopo cinque minuti circa la porta si aprì e il conestabile guardò fuori.
— Prendete la vostra bicicletta e venite con me — disse il professore. — C'è un cadavere nella foresta del Castello.
— Un cadavere?!
Il conestabile lo fissò a bocca aperta.
— Misericordia! E chi è?
— Come posso saperlo? — rispose irritato il professore. — Non parlate e muovetevi. Per strada, chiameremo il dottore.
Il conestabile spinse fuori la bicicletta e tutti e due si avviarono. Si fermarono davanti al cancello bianco della casa del dottore. Il professore suonò il campanello situato di fianco all'ingresso e attese risposta.
— Alzatevi Dick, — gridò poi. — Qualcuno è stato ucciso.
Vii fu una pausa, poi la porta si aprì e apparvero le larghe spalle di Dick Henshaw.
— E' la terza volta che devo uscire dalle otto di questa sera, — osservò allegramente. — Che avete fatto del cadavere, professore?
— Prendete da bicicletta, vi spiegherò.
Dick obbedì e tutti e tre si avviarono fuori del villaggio, mentre il professore raccontava brevemente quanto sapeva della faccenda. Giunta sul luogo, abbandonarono le biciclette e, guidati dal professore, si arrampicarono verso la siepe. Rifecero il cammino che questi aveva percorso poco prima nella serata, fino alla macchia dove egli aveva inciampato. Il conestabile illuminò con la lanterna il terreno tutto intorno.

— Che diavolo! — esclamò il professore, — il cadavere è scomparso.

Il Castello del Male di Enrico Holt

Il Castello del Male di Enrico Holt

Un giorno alla agenzia investigativa di Logan & Macrea - Detectives privati si presenta una bella ragazza dicendo di essere la segretaria di un ricco milionario, Jonathan Blundell, e racconta una strana storia di un vecchio socio sparito e creduto morto e di sopiti rancori. Ella teme per la vita del suo principale e invita i due detective a recarsi al castello del signor Blundell per proteggerlo e per scoprire chi minaccia la sua vita. Da quel momento per Mike Logan e Dinah Macrea si apre un intricato ed insospettabile scenario di delitti che sembrano irrisolvibili, finchè .....
Un giallo complesso e pieno di colpi di scena.





Estratto da Il Castello del Male


Lunedì, 1 ottobre.
Una ragazza sui ventidue anni attraversò il corridoio. Era snella e sottile, le sue gambe avrebbero potuto essere definite «sogno di un artista». Si fermò davanti alla porta di un ufficio. La targa diceva: Logan & Macrea - Detectives privati.
La ragazza aprì la porta. Un giovanotto sui ventott'anni stava costruendo sulla scrivania un castello con delle carte da gioco.
— ...giorno, socia — disse senza smettere quel lavoro delicato. — Niente posta, niente telefonate, niente di niente. Da cinque giorni viviamo abbandonati sulla zattera. Deve essere stagione morta per i delitti.
La ragazza con un soffio fece crollare il castello. Mike si mise con calma a radunare le carte.
Il destino è una cosa curiosa — osservò il giovanotto dopo un poco. — Non ti riesce mai di sapere che cosa ti aspetta voltato l'angolo. Durante i primi mesi, appena messo su questo ufficio, si sarebbe detto che sulla porta c'era scritto: Attenzione: vaiolo! Quando finalmente si è vista la faccia di un cliente, ho avuto l'impressione d'essere in porto!
E lo eravamo — rispose la ragazza. — Da allora, non negatelo, abbiamo sempre avuto tutti i clienti che potevamo servire. Perchè non vi prendete qualche giorno di vacanza, visto che adesso c'è poco da fare? Per esempio, in qualche parte credo che si possano pescare delle bellissime trote...
Pescare? Trote? Buona idea. Conosco un certo laghetto, io. In una giornata come questa la superficie sarebbe liscia liscia... Una bottiglia di whisky e una canna...
— ...e una bionda. Sarebbe la felicità perfetta, Mike.
No, niente bionde, i miei gusti sono mutati... Forse, quand'ero giovane...
In quel momento la porta si aprì ed entrò una bionda. Mike rilevò che da lei spirava una fresca aria di buona salute campagnola.
Signor Logan?
Era un poco più alta della media e ben proporzionata.
Prego, sedete — rispose Mike. — Che cosa posso fare per voi?
I fermi occhi bruni della visitatrice si fissarono per un attimo su Dinah.
La signorina Macrea è la mia socia — spiegò Mike.
Ah, bene. Mi chiamo Maria Leigh. Sono la segretaria privata del signor Jonathan Blundell, che abita a Sherrington, Leatherhead.
La ragazza aveva un che di conciso in sè che attrasse subito le simpatie di Mike.
Da qualche tempo sono un po' preoccupata — continuò. — Sono accadute delle cose strane. Forse però è bene che prima vi parli del signor Blundell. E' un uomo ricco, molto ricco. Ha girato mezzo mondo e ha messo mano a un sacco di affari. Ha passato alcuni anni nello Yokun e ha fatto quattrini. E' tornato in Inghilterra, si è sposato, e durante quel periodo ha fatto parecchi viaggi all'estero. Si è occupato della pesca delle perle, e ci ha rimesso tutto. Non ha fatto altro, tutta la sua vita, che mettere insieme delle fortune, per poi perderle.
Tacque un momento.
Scusatemi se la descrizione dello sfondo non è breve, ma credo che possa mettere in luce parecchie cose...
Andate pure avanti — disse Logan.
Una volta, nel Texas, ebbe un ranch con molte mandrie. A San Francisco ebbe un bar. Un giorno poi finì al Messico e si interessò di petrolio. Fino a quel momento, tutto sommato, la fortuna l'aveva assistito abbastanza. Nel Messico invece lo abbandonò. Furono anni pieni di guai, e più di una volta schivò per un pelo di farsi ammazzare. Era convinto che il petrolio sarebbe stata la sua fortuna...
E fu così?
Un bel giorno si mise in società con un certo Pat Riley. Non sapeva molto sul conto di questo signore. Laggiù capita spesso che ci si deva formare una propria opinione sulla gente, e basarsi su quella. Insieme presero in affitto un pezzo di terreno, che tutti giuravano fosse sterile. Invece dopo un poco un pozzo cominciò a dare. Ne furono tirati fuori più di un milione di barili prima che si asciugasse. Il terreno che aveva affittato era ricchissimo di petrolio... Riley, gran bevitore, cominciò tutta una serie di celebrazioni. Jonathan Blundell tentò di mettere freno alla cosa, ma non gli riuscì. Riley si era lasciato scappare, nei fumi dell'alcool, che era ricercato dalla polizia, e dichiarò che desiderava andare al diavolo come meglio gli piaceva. Poi cominciò a sparare come se fosse uscito di cervello, e la cosa finì male. Anche Blundell, per difendersi, dovette mettere mano alla sua rivoltella. Riley nella sparatoria aveva ferito due uomini, uno dei quali era un funzionario governativo. Al Messico, si possono fare parecchie cose, ma Riley questa volta si accorse di essere andato troppo oltre. E così scomparve...
In quale epoca è accaduto tutto questo?
Sei anni fa. Il signor Blundell rimase ai pozzi ancora un anno, il tempo necessario per mettere insieme una grossa fortuna. Poi fece ritorno in Inghilterra, e da allora vive a Pine Manor, Sherrington.
Da quanto tempo siete la sua segretaria?
Tre anni. Blundell può essere molto brusco, ma vi sono delle cose in lui che mi piacciono molto. E’ vedovo con un figlio e due figlie, ormai grandi. Sarebbe stato diverso, voglio dire che i ragazzi sarebbero stati più felici, se avessero avuto meno soldi da spendere. Il padre non è affatto uno sciocco. Dapprima mi ha dato qualche faccenda amministrativa da sbrigare, poi a poco a poco mi ha addossato delle responsabilità sempre maggiori. Non che io lo abbia voluto. Ma occorre pure qualcuno che mantenga una specie di ordine dal punto di vista economico, e non vi è nessuno all’infuori di me che possa farlo.
Vi piace il vostro lavoro?
Sì, e poi sono pagata benissimo. Neanche mi pesano le responsabilità. Attraverso le mie mani passano delle somme enormi. Se tento di richiamare l'attenzione del signor Blundell sulle cifre, ride e mi domanda perchè mai immagino che lui mi dia uno stipendio. Una volta gli ho detto che per me sarebbe un gioco da bambini portargli via centinaia di sterline. Lui mi ha battuto sulla spalla e mi ha risposto che potevo provarmici, ma che lui se ne sarebbe subito accorto dalla mia faccia. Credo che abbia ragione... E’ difficile per me nascondere ciò che provo...
Logan aveva già dimenticato le trote e ora stava pensando che se avesse avuto dei quattrini non gli sarebbe dispiaciuto avere quella ragazza per segretaria. Sembrava una persona singolarmente efficiente. No, il vecchio Blundell non era davvero uno sciocco.
Abito anch'io a Pine Manor — continuò la ragazza. — Sono gente, quasi tutti, come dire?, un poco stramba. Il lavoro non mi manca. Aiuto Blundell a tenere la corrispondenza d'affari. Sta anche scrivendo la sua autobiografia. Anzi, il libro da un po' di tempo è la sua principale occupazione. I suoi rapporti con i figlioli a volte fanno pena. Quando sono rimasti orfani di madre, quelli erano molto piccoli. Lui, in quel periodo, soprattutto quand'era nel Messico, li ha visti pochissimo. Quando è tornato in patria per starci, lui e i ragazzi erano praticamente degli estranei. Forse aveva sperato che i ragazzi gli avrebbero gettato le braccia al collo, felici del suo ritorno. Non è stato così, e questa deve avere rappresentato una delle peggiori delusioni della sua vita. Lui ha tentato dì comperarsi il loro affetto coprendoli di quattrini, ma... Mary, la maggiore, che ora ha ventidue anni, è il miglior pezzo della bottega, e credo sia quella più affezionata al padre. Il ragazzo Harvey, minore di un anno, è un tipo ribelle, che si caccia sempre nei guai. Si direbbe che non voglia affatto bene al padre, e che lo consideri esclusivamente una fonte di reddito. Gaby poi è il «problema». Ha diciannove anni, è bellissima, e la più sfrenata di tutti. Il signor Blundell l'adora e lei sa cavarne tutto ciò che vuole. A Pine Manor ognuno possiede un'automobile e fa esattamente ciò che vuole. Al castello vi è molta servitù. Sono riuscita, dando salari favolosi, a mettere insieme un buon personale. Parsons, il maggiordomo, è una perla vera e propria. Vede tutto, sa tutto e si comporta come se noi fossimo una famiglia modello.
Cosa che non è, ci scommetto. — fece Logan.
Già... La signora Webster, la governante, è perfetta, da un certo punto di vista. So benissimo che sta portando parecchie morbide piume al suo nido. E' una cosa poco onesta, ma considerando tutto ciò che deve sopportare, non me ne stupisco. Riesce comunque a far muovere tutto sulle rotelle. Gli ospiti arrivano a qualsiasi ora del giorno e della notte, a volte sono sbronzi, i pasti vengono serviti a qualunque ora. Eppure, non esiste il problema della servitù. Se nascono dei fastidi con le cameriere, la signora Webster riesce a metterli a posto. Eh! Gran cosa il denaro!... Ecco — concluse Marian Leighora potete farvi un'idea dello sfondo di Pine Manor. C'è, come dire, un poco di pazzia per aria, laggiù.
E che cosa è accaduto di speciale in questi ultimi tempi?
Prima di arrivare dove volete voi, è forse meglio che vi dica che vicino al castello abita una ragazza: Rita Trenchard. Il signor Blundell ha cinquantadue anni. I figli non gli danno molte soddisfazioni. Lui è un uomo di valore, Rita è molto più giovane di lui. Io per conto mio l'ho sempre trovata affascinante e intelligente. Lui ne è innamorato, e fra non molto si sposeranno.
Sarà come mettere il gatto fra i piccioni — osservò Logan, alzando un sopracciglio.
Cosa intendete dire?
O la nuova signora Blundell troverà la vita impossibile in quella atmosfera forsennata, oppure, se ha il cervello quadrato, tenterà di intervenire duramente. E allora vedremo i fuochi d'artificio...
Anch'io mi sono chiesta parecchie volte che cosa succederà — rispose Marian sorridendo. — Per la verità non sono affari miei. Rita è piena di buon senso, direi. Se le riuscirà di imporre una qualche disciplina, la cosa mi farà molto piacere, perchè ho promesso al signor Blundell di restare al castello ancora per un anno dopo le nozze. Credo che sarà un matrimonio riuscito. Niente di romantico, ben inteso. Rita ha trent'anni. La madre è morta che lei era piccolina. Il padre è deceduto poco tempo fa in un incidente automobilistico, e l'ha lasciata piuttosto male in arnese. Dopo la morte si è scoperto che aveva perso buona parte del patrimonio in Borsa. Rita continua a vivere nella stessa casa, ma credo che se la passi maluccio... Questa è la pennellata finale. Ma era necessario parlarvi di Rita, per farvi capire in che modo può influire sul signor Blundell. Ora torniamo un momento al Messico. Quando Pat Riley cominciò a sparare, Jonathan Blundell si vide costretto a ricorrere alla sua arma. Non gli piace parlare di questo episodio, che gli ha lasciato un cattivo sapore in bocca.
Avete detto che Blundell agì per legittima difesa?
Sì. Riley era come fuor di senno. Blundell, che non aveva intenzione di ferirlo gravemente, mirò al braccio. E Riley scomparve nell'oscurità...
E poi, che ne è successo?
Me lo sono chiesta anch'io tante volte. Nessuno l'ha più visto. Era stato ferito gravemente? Dov'è andato? Ma, e questo è il punto vitale, se è ancora vivo, che cosa prova per Blundell?
Riley ha avuto la parte che gli spettava nell'affare del petrolio?
Prima che cominciasse a sparare gli era stata consegnata una considerevole somma, ma non il totale di quanto gli andava.
Allora, quando scomparve non era in secca?
Poteva avere l'equivalente di un migliaio di sterline. Forse anche più.
Capisco. E voi potete affermare che il signor Blundell è una persona ragionevolmente onesta?
Non lavorerei per lui se non avessi questa convinzione. E' diritto come il filo di una spada, e giusto. Soprattutto giusto!
Bene. Che ne è stato dei quattrini che spettavano a Riley?
Li ha il signor Blundell. Ma, per carità, non pensate male... Non aveva la più pallida idea di dove fosse Riley, nè da dove era venuto, nè se avesse parenti in qualche parte del mondo.
E — interruppe Logandato che Riley era ricercato, non avrà chiacchierato troppo su se stesso...
Blundell dice che è sempre stato molto riservato. Del resto, lui non gli chiese mai nulla. In posti tipo Messico non è saggio mostrarsi curiosi del passato altrui. Un bel giorno Blundell ricorse ad avvocati a San Francisco e a città di Messico, dette una descrizione particolareggiata di Riley, promise premi a chi gli avesse fornito indicazioni utili. Lo stesso fece a Nuova York, Londra, Dublino. Spese un sacco di soldi per annunci, nella speranza che cadessero sotto gli occhi di Pat. Invece sono passati anni, e di lui nessuna notizia. Blundell, ve lo garantisco, non ha mai avuto intenzione di frodarlo, e anche ora sarebbe felicissimo di incontrarlo. Gli consegnerebbe fino all'ultimo centesimo. Ed eccoci al punto vitale. La prima volta che ho avuto l'impressione che qualcosa cigolasse nell'insieme è stato tre settimane fa. Gaby aveva un cane. Jim era buono, cordiale, devotissimo alla padrona. Un cane che non aveva mai azzannato nessuno. Ma sono pronta a giurare che se qualcuno avesse tentato di fare del male alla sua padrona, lui l'avrebbe afferrato alla gola. Usciva tutti i giorni con la ragazza a fare una passeggiata. Quando lei era assente, lo portavo fuori io. Gli volevo bene. Pine Manor ha intorno una proprietà vastissima. Si può camminare per ore e ore, sempre restando nei possedimenti. Un giorno Jim scomparve. Pochi giorni dopo la sua carcassa venne ritrovata al margine di un terreno coltivo. Fu uno dei contadini a fare la scoperta. Qualcuno gli aveva sparato.
Vi sono fucili, a Pine Manor? — chiese Logan.
Sì, parecchi. Il signor Blundell va a caccia ogni tanto, perchè vi è una infinità di conigli. E a volte gli ospiti si divertono al tiro a segno con la rivoltella.
In che rapporti stava il signor Blundell con il cane?
Oh, Blundell adora le bestie! Per carità! Sono certa che per nulla al mondo gli avrebbe sparato! Lo stesso si può affermare di Gaby. E' una ragazza fredda e calcolatrice, ma credo che Jim fosse l'unico essere a cui lei voleva bene.
E il fratello?
No. Escluso. E anche Mary esclusa.
Quanto dista dalla casa il luogo dove fu trovato il cane?
Circa otto minuti di strada.
Allora, era facile dal castello sentire il colpo, soprattutto se era una giornata calma, o se era notte.
No, durante il giorno nessuno se ne sarebbe accorto... con tutti quei conigli a cui si spara...
Bene. E qual è la vostra opinione?
Preferirei che tiraste voi prima le conclusioni, in modo da non influire sul vostro giudizio.
Avete avvertito la polizia della morte del cane?
Sì, ma non hanno scoperto nulla. Il sergente ha detto che probabilmente è stato un cacciatore di frodo.
E voi avete visto il cane dopo morto?
Sì. Ero con Gaby. Lei dette un'occhiata a Jim, divenne pallidissima e tornò a casa senza dire una parola. Non ho mai visto Gaby piangere.
Dov'era ferito?
Nella testa, fra gli occhi.
Una brutta ferita frastagliata?
No, un piccolo foro prodotto da una pallottola di rivoltella. Così almeno mi è stato spiegato.
Allora, mi pare che il cacciatore di frodo sia da escludere. Che cosa ne è stato fatto del corpo di Jim?
E' stato sotterrato da uno dei giardinieri nel punto dove era stato trovato... Ma c'è dell'altro. Una sera, era il crepuscolo, circa una settimana dopo, me ne stavo tornando a casa in macchina. Entro per il cancello principale, infilo il vialone grande, e sono quasi a metà quando vedo un tipo che correva. Ma era troppo lontano per poterne distinguere i tratti del volto. Scomparve nell'ombra del boschetto dietro al lago. Rimasi come di sasso, e per un attimo mi domandai se per caso non ero vittima di un'allucinazione. Poi mi venne in mente Jim. Non sono tipo da lasciarmi prendere dalla paura, ma devo confessare che quella sera mi venne la pelle d'oca. A casa trovai Blundell nello studio, e gli raccontai tutto. Mi ascoltò e il suo volto ebbe una strana smorfia. Compresi che tanto nel suo che nel mio cervello lampeggiava lo stesso nome: Pat Riley!
Lo ha nominato?
No. Ma sono convinta che la pensasse così. Dopo un poco si alzò, andò alla finestra e rimase a guardare fuori. «Non parlate con nessuno di questa storia, Marian», mi raccomandò. Trascorsero alcun giorni di calma, e io ricominciavo a respirare sollevata. Poi una settimana fa circa, accadde di nuovo qualcosa di sconcertante. Mary era appena tornata da Londra, da sola pilotando la macchina. Era sera inoltrata. Ero con il signor Blundell nel soggiorno, quando lei entrò, si versò un po' di whisky, accese una sigaretta e disse:
Credo che sarebbe bene prendere un'altro cane, possibilmente grosso, papà. I ladri possono facilmente entrare da noi, e io non mi vorrei ritrovare un mattino con la gola tagliata. Mentre venivo a casa ho visto un tale gironzolare qua intorno...
— Sei sicura? — domandò il signor Blundell accendendo un sigaro.
— Sì, sicurissima. Era nel prato di fianco al viale. Avevo i fari accesi, ma c'è un po' di nebbia stasera. Veniva da questa parte. Evidentemente, il sopraggiungere di una macchina lo sorprese, perchè restò un attimo immobile, poi si voltò, quindi prese a sinistra. Credo che sia uscito dai cancelli. Fermai la macchina, ma non potei vedere nulla perchè i fari non sono mobili...Il signor Blundell disse che forse si trattava solo di un vagabondo. Mary rispose che comunque la cosa non le piaceva punto. Il signor Blundell le domandò come era vestito.
— Papà, per piacere, non essere sciocco — rispose Mary, — come avrei potuto vedere? Prima che mi rendessi conto di ciò che stava accadendo quello era già scomparso!
— Ah! Che cosa hai notato in lui? — domandò allora Blundell. — Lo riconosceresti?
— Non credo. Però mi è parso alto e magro.
— Era giovane, di mezza età o come?
— Fra un po' mi chiederai di che colore aveva gli occhi — scattò Mary. — L'unica cosa che mi interessa è che non mi voglio svegliare una notte e trovare qualcuno che passeggia nella mia stanza.
— Certo, tesoro, hai ragione — rispose il padre, e uscì dalla stanza.
Lo seguii dopo un momento e lo incontrai sulla porta dello studio. Pensai che vi si fosse recato per cercare una certa rivoltella che tiene in un cassetto. Scese le scale e uscì senza pronunciare parola. Mi sentivo i nervi scossi. Ritornai nel soggiorno e presi un libro, non osando parlare per timore che Mary si accorgesse della mia agitazione. Il signor Blundell stette fuori circa tre quarti d'ora. Quando tornò, raccontò che era stato fino al cancello grande, ma che non aveva visto nessuno. Tutte le sere Parsons, il maggiordomo, assicura porte e finestre. Quella sera Blundell passò in rassegna porte e finestre, e da allora tutte le sere ripetè il controllo. Il mattino dopo, mentre lavoravamo al suo libro, mi resi conto che durava fatica a concentrarsi. Decisi di prendere il toro per le corna e gli chiesi a bruciapelo se credeva che l'uomo della sera prima fosse Riley. Mi rispose senza esitare:
— Mary ha detto che le pareva che quel tale fosse alto e magro. Riley è alto e magro.
— Che cosa avete intenzione di fare?
— Non c'è nulla da fare!
Gli chiesi se non credeva che fosse meglio avvertire la polizia.
— E' proprio l'ultima cosa che posso fare — rispose. — Riley e io eravamo compagni, quasi amici. Sono anni che mi sento sullo stomaco il fatto di sapere che ho in mano una grossa somma di denaro che per diritto spetta a lui. Sarei felicissimo di consegnargli il dovuto, ma finché non si fa innanzi apertamente non ne ho la possibilità.
Questo avvenne una settimana fa — osservò Logan. — Nel frattempo sono accadute altre cose?
Sì. Ieri sera qualcosa ha forzato la mano al signor Blundell. Gaby e Mary sono tornate a casa poco dopo la mezzanotte e tre quarti. Mentre stavano per arrivare, videro tutte e due l'uomo. Evidentemente non aveva sentito il rombo del motore, perchè tirava vento forte. Era accanto a una delle finestre. Gaby posò la mano sul claxon, e quello se la dette a gambe. Blundell era ancora alzato. Le ragazze entrarono correndo, e Mary gridò che avrebbe subito telefonato alla polizia. Il padre fece notare che prima che la camionetta arrivasse quello si sarebbe trovato a miglia di distanza. Però promise che l'indomani mattina si sarebbe subito occupato della faccenda...Dopo che le ragazze si furono ritirate, il signor Blundell e io ci mettemmo a discutere. Pareva proprio che qualcosa lo costringesse a fare l'unico passo che voleva evitare. Allora mi venne in mente di proporgli di rivolgersi a un detective privato. Approvò l'idea. Avrebbe accontentato le ragazze, senza farsi pubblicità intorno, cosa che lui detesta. Mi ricordai allora di aver letto il vostro nome sui giornali a proposito di un caso di cui vi eravate occupato con successo. Abbiamo cercato sulla guida il vostro indirizzo, e ora eccomi qua. Il signor Blundell mi ha detto di dirvi che non bada a spese, e che è disposto a darvi, oltre ai vostri onorari, anche un buon premio, purché riusciate a scoprire chi è quel tipo....
Logan lanciò un'occhiata verso Dinah Macrea, che aveva ascoltato attentamente prendendo degli appunti. Poi sollevò il microfono e formò un numero.
Salve, Izzi — disse. — Mi è capitato un lavoro, e può darsi che abbia bisogno di qualcuno dei vostri ragazzi. Potete metterne insieme un paio? Devono essere in gamba... voglio dire essere tipi che non se la pigliano se una pallottola finisce nella loro pancia, purché la paga sia buona...
Quanti ve ne occorrono?
Direi una mezza dozzina.
E quando? Oggi i tre migliori sono impegnati.
Basta domani. Devo ancora recarmi sul posto. Vi telefonerò.
Bene.
Logan posò il microfono e fece scivolare l'apparecchio attraverso la scrivania verso Marian Leigh.

Telefonate al signor Blundell, per piacere — disse — e avvertitelo che siamo per strada diretti verso Pine Manor.