venerdì 15 agosto 2014

Il Tenebroso Bosco dei Misteri di Gustavo Giorgio Arnoldi

Il Tenebroso Bosco dei Misteri di Gustavo Giorgio Arnoldi

Il professore William Sparrow, una sera, mentre sta attraversando, con la propria bicicletta il bosco di Guilford per andare a casa ode un grido. Incuriosito si dirige verso quel grido e scopre così il cadavere di un uomo che è stato appena strangolato. Senza perdere tempo corre al villaggio e avverte sia la polizia che il medico condotto: il dottore Dick Henshaw.
Una sorpresa li attende nel bosco: il cadavere dello strangolato è scomparso. Sia la polizia che il dottor Henshaw si chiedono se il professore Sparrow non abbia bevuto o se non soffra di allucinazioni, ma il ritrovamento di alcune macchie di sangue e di una miniatura raffigurante una bellissima ragazza li fanno ricredere.
Per il curioso dottor Henshaw si presentano molti quesiti da risolvere. Chi ha ucciso quell'uomo e perchè? Chi ha portato via il corpo durante l'assenza del professore e dove l'ha occultato? Che parte ha nella faccenda l'uomo di cui il professore ha udito i movimenti? Chi ha lasciato cadere la miniatura? Chi è la fanciulla del ritratto?
Inoltre il delitto è avvenuto nella tenuta del Marchese de Cerennes, proprietario del Castello di Guildford. E per il dottor Henshaw è un rebus il perchè un francese si sia installato in un villaggio inglese così tranquillo e privo di attrattive. Inoltre il francese non esce mai di casa ed è sempre circondato da una quantità incredibile di stranieri.
Un giallo serrato e pieno di ritmo e mistero.


Estratto da Il Tenebroso Bosco dei Misteri


Per la quarta volta il fanale della bicicletta si spense e per la quarta volta il professore William Sparrow scese per riaccenderlo, brontolando minacce contro il mondo che, in fondo, non era responsabile dei difetti del fanale. Spinse la macchina verso un lato dello stretto sentiero, e l'appoggiò contro il ciglio erboso. Accomodato il lucignolo, si frugò in tasca cercando i fiammiferi e ne accese uno.
La notte era stranamente tranquilla; pur essendo estate, nulla muoveva gli alberi che si innalzavano da ogni lato e i cui rami s'incrociavano formando una galleria naturale. Il fogliame impediva l'accesso alla luce, tantoché nel sentiero regnava il buio più profondo. Anche gli animali, che di solito riempivano la notte con le loro grida e i loro movimenti, sembravano intimoriti dal silenzio e dall'oscurità. Il professore, curvo sulla bicicletta, pareva l'unico essere vivente.
Improvvisamente echeggiò un grido: s'innalzò acuto e chiaro, riempiendo l'aria di terrore, e dileguò a poco a poco in una specie di gorgoglio gutturale terribilmente inumano. Presto si spense e il silenzio regnò di nuovo, più profondo che mai.
Il professore rimase immobile, come inanimato, finché il fiammifero acceso gli bruciò le dita. Probabilmente non lo avrebbe ammesso, ma effettivamente il cuore gli batteva più celere e il suo respiro era più lento di quanto non fosse un momento prima. Rimase accanto alla macchina forse per un minuto, ascoltando attentamente.
Soleva vantarsi che non v'era cosa o individuo capace di spaventarlo e, come uomo di scienza, poco s'impressionava del soprannaturale. Tuttavia, o per effetto del silenzio e dell'oscurità, o perché vi fosse veramente un che di irreale in quel grido, egli sentì un brivido corrergli lungo la schiena e la bocca farsi secca in modo inusato.
— Che il diavolo lo porti! — disse ad alta voce. — Queste sciocchezze non si fanno, caro Sparrow! Anche se siete avanti negli anni, non dovete spaventarvi per un rumore nell'oscurità. Dovete invece andare a vedere di che si tratta.
Il suono della sua voce lo riportò sulla terra. Il grido proveniva, a quanto poteva giudicare da una macchia, dall'altra parte del sentiero, forse a qualche diecina di metri da lui. Attraversò la strada e si arrampicò sul ciglio che sovrastava il sentiero di circa un metro, ed era guarnito da una folta siepe spinosa.
Egli l'attraversò di forza. C'era troppa oscurità per poter scorgere qualcosa, ma il professore era sicuro del terreno come se lo avesse calpestato durante tutta la sua vita: davanti a lui era alberato per un centinaio di metri, al di là si stendeva il parco circostante il Castello di Guildford.
Queste nozioni non potevano però aiutarlo a trovare chi aveva gridato nella notte. Si fermò presso la siepe e cercò di scrutare nella profonda oscurità del bosco. Ma, impazientito, abbandonò subito il tentativo.
— Con questa oscurità non si può vedere neppure un elefante — pensò.
Portò le mani alla bocca e cacciò un urlo che echeggiò lontano attraverso gli alberi. Tese allora le orecchie aspettando una risposta che non venne. Gridò di nuovo, ma senza migliore risultato.
— Vado a casa — disse a sè stesso, con irritazione. — Non credo di avere udito quel grido. Devo averlo immaginato.
Rimase un istante pensieroso sul da farsi, e proprio allora, come risposta alla sua interna domanda, udì un rumore lontano alla sua destra, tanto debole che se ci fosse stato del vento si sarebbe perduto, ma in quel silenzio era stato perfettamente percettibile.
Qualcuno aveva picchiato contro del legno, probabilmente, un tronco d'albero. Era un piccolo rumore, aveva però un grande significato, perchè denotava la presenza di qualcuno nel bosco, qualcuno che, per delle ragioni personali, voleva restare sordo alle grida del professore.
Certamente, chiunque avesse potuto giustificare onestamente la propria presenza in quel luogo, avrebbe risposto. Il professore, ancora più incuriosito, avanzò nella direzione da cui era venuto il rumore: si muoveva con precauzione, ma le foglie e i rami caduti gli scricchiolavano sotto i piedi.
Evidentemente era impossibile procedere senza rumore e perciò si mise a correre attraverso il bosco. I rami più bassi gli sferzavano il volto e più di una volta inciampò. Tuttavia continuò affrettandosi, noncurante di tutto, desideroso soltanto di trovare l'uomo che aveva prodotto quel suono. Una volta si fermò di colpo e ascoltò.
Dei rumori vaghi giungevano sino a lui, ed egli ne fu soddisfatto: qualcuno veniva verso di lui aprendosi il cammino attraverso gli alberi. Il professore riprese a correre fin quando inciampò di nuovo: questa volta perdette l'equilibrio e cadde con fracasso.
Si alzò lentamente sulle ginocchia sporgendo una mano e per un momento cercò a tentoni nel buio: poi si alzò di scatto. L'oggetto contro cui aveva inciampato era un corpo umano e con la mano aveva toccato un volto.
Accese un fiammifero. La fiamma tremolò un poco, poi brillò più alta ed egli si chinò a guardare l’ammasso confuso giacente  sul terreno.
— Morto — si disse — morto stecchito!
Sbottonò la camicia grossolana e posò la mano sul cuore dell'uomo per avere conferma al suo verdetto. Non ebbe più dubbi. Il corpo era ancora caldo, ma l'uomo era proprio morto. La causa della morte non fu lunga a trovarsi. Intorno al collo aveva una striscia rossa, la faccia era paonazza, gli occhi sporgevano dalle orbite, e il labbro inferiore abbassato lasciava vedere la lingua gonfia e tumefatta.
— Strangolato, per Giove! — pensò il professore. — Ecco perchè ha urlato!
Accese un altro fiammifero. Siccome conosceva tutti gli abitanti dei dintorni, e la vittima non era fra queste sue conoscenze essa doveva essere forestiera per Guildford. Sembrava un uomo robusto, dalle fattezze poco piacenti, quasi calvo, e vestito di un logoro abito nero.
Al suo fianco giaceva un sudicio cappello di feltro. Il professore spense il fiammifero e si pose a riflettere sulla strana tragedia che metteva un improvviso subbuglio in quel quieto paese inglese.
— Ora dovrò avvertire la polizia — borbottò. — Bisogna far prendere in trappola l'assassino.
Ritornò indietro fino al sentiero. Poi, senza badare se il fanale era o no acceso, balzò in sella e pedalò furiosamente verso Guildford dove già era diretto quando quel grido lo aveva fermato.
Oltrepassò la sua casa, un casolare rimodernato, e giunse ad un largo spiazzo erboso intorno al quale sorgevano le case del villaggio. A sinistra c'era una piccola villa coperta di edera con la placca azzurra della Polizia della Contea di Surrey sull'ingresso.
Picchiò vigorosamente alla porta centrale e aspettò con impazienza. Erano poco più delle undici e gli abitanti di Guildford si coricavano presto. Picchiò ripetutamente finché qualcuno sporse il capo da una finestra più elevata. Il professore riconobbe il conestabile locale.
— Su William — gli gridò. — Vestitevi alla meglio e venite giù, c'è del lavoro per voi.
L'uomo borbottò qualche cosa d'incomprensibile e sparì. Dopo cinque minuti circa la porta si aprì e il conestabile guardò fuori.
— Prendete la vostra bicicletta e venite con me — disse il professore. — C'è un cadavere nella foresta del Castello.
— Un cadavere?!
Il conestabile lo fissò a bocca aperta.
— Misericordia! E chi è?
— Come posso saperlo? — rispose irritato il professore. — Non parlate e muovetevi. Per strada, chiameremo il dottore.
Il conestabile spinse fuori la bicicletta e tutti e due si avviarono. Si fermarono davanti al cancello bianco della casa del dottore. Il professore suonò il campanello situato di fianco all'ingresso e attese risposta.
— Alzatevi Dick, — gridò poi. — Qualcuno è stato ucciso.
Vii fu una pausa, poi la porta si aprì e apparvero le larghe spalle di Dick Henshaw.
— E' la terza volta che devo uscire dalle otto di questa sera, — osservò allegramente. — Che avete fatto del cadavere, professore?
— Prendete da bicicletta, vi spiegherò.
Dick obbedì e tutti e tre si avviarono fuori del villaggio, mentre il professore raccontava brevemente quanto sapeva della faccenda. Giunta sul luogo, abbandonarono le biciclette e, guidati dal professore, si arrampicarono verso la siepe. Rifecero il cammino che questi aveva percorso poco prima nella serata, fino alla macchia dove egli aveva inciampato. Il conestabile illuminò con la lanterna il terreno tutto intorno.

— Che diavolo! — esclamò il professore, — il cadavere è scomparso.

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