La città dell'oro di Emilio Salgari
In vendita su Amazon
Sinossi
Certamente riproporre un’ennesima edizione di un romanzo di Emilio Salgari è un’avventura. I testi di Salgari sono nel pubblico dominio e si possono leggere gratuitamente. Però hanno la caratteristica di non essere adeguati ai moderni meccanismi di lettura quali il Kindle, l’Ipad, ect. ect.
La presente versione del romanzo La Città dell’Oro vale la pena di essere acquistata per vari ordini di motivi:
1 – Il prezzo irrisorio
2 – Le numerosissime illustrazioni nel testo e fuori testo. Trattasi delle leggendarie riproduzioni di Frederick Catherwood (più di 25)
3 – L’interattività del libro. Se si è connessi ad Internet cliccando sulle parole linkate si possono leggere informazioni aggiuntive e non solo: immagini, filmati, ect. ect.
4 – Le complete filmografie che si rifanno a IMDB e Wikipedia
5 – La Bibliografia delle Opere di Emilio Salgari.
6 – La brevissima storia degli Inca.
7 – La descizione dell’Orenoco e dell’Eldorado.
La presente versione del romanzo La Città dell’Oro vale la pena di essere acquistata per vari ordini di motivi:
1 – Il prezzo irrisorio
2 – Le numerosissime illustrazioni nel testo e fuori testo. Trattasi delle leggendarie riproduzioni di Frederick Catherwood (più di 25)
3 – L’interattività del libro. Se si è connessi ad Internet cliccando sulle parole linkate si possono leggere informazioni aggiuntive e non solo: immagini, filmati, ect. ect.
4 – Le complete filmografie che si rifanno a IMDB e Wikipedia
5 – La Bibliografia delle Opere di Emilio Salgari.
6 – La brevissima storia degli Inca.
7 – La descizione dell’Orenoco e dell’Eldorado.
Dettagli prodotto
Incipit
- Bada, Alonzo! Se ti
piomba addosso, non so se il medico, quell'ottimo Velasco, saprà accomodarti le
ossa.
- Non temere, cugino,
ho il polso fermo e l'occhio sicuro.
- Ma quei dannati
giaguari spiccano tali salti da far invidia alle tigri indiane. Anche la
settimana scorsa mi hanno storpiato uno schiavo presso la foce dell'Arauca,
sebbene quel disgraziato fosse un abile cacciatore.
- Ma non aveva fra le
mani un buon fucile.
- Una freccia intinta
nel velenoso curaro vale quanto una palla di fucile.
- Non mi fido, cugino
Raffaele, di quelle frecce.
- Hai torto. Volano
via silenziose e non falliscono mai, quando sono lanciate da un indiano
dell'Orenoco. Ti dirò poi che...
- Zitto, cugino!
- Il giaguaro?
- Ho udito laggiù a
rompersi un ramo.
- Fermati, Alonzo! Non
vorrei festeggiare il tuo arrivo dalla Florida con una disgrazia.
- Taci! Non ho paura.
I due cugini si
erano arrestati col dito sul grilletto del fucile e gli occhi fìssi sugli
ammassi di tronchi e di fogliame che si stendevano dinanzi a loro. Al di là
della boscaglia si udiva gorgogliare la corrente dell'Orenoco, di quel fiume gigante che coi suoi numerosi affluenti
solca contemporaneamente le due
repubbliche di Columbia e di Venezuela, allungandosi fin presso l'altro
gigante che attraversa tutta intera l'America
del Sud centrale, il famoso fiume
delle Amazzoni.
Alcuni mico, scimiottini così piccoli che possono
stare in una scatola di sigari, graziosissimi, svelti, intelligenti, emettevano
le loro grida lamentevoli, dondolandosi all'estremità dei rami, mentre su di un
tronco una coppia di canindé, bellicosi pappagalli grossi come le kakatue dell'Australia, colle ali
turchine ed il petto giallo, cicalavano a piena voce.
I due cacciatori
stettero alcuni istanti in silenzio, indagando cogli sguardi i cespugli, gli
alberi e le foglie gigantesche che proiettavano sul terreno una cupa ombra e
tendendo accuratamente gli orecchi, poi Alonzo disse:
- Mi sono ingannato.
Non odo nulla di sospetto.
- Non fidiamoci,
cugino mio. Il giaguaro ci avrà scorti e si sarà rintanato. Toh!... Non senti
questo odore di selvatico? È passato di qui, ne sono certo.
- Si mostri, dunque!
Aveva appena pronunciate queste parole che si videro le
larghe foglie d'un bananeira, aprirsi rapidamente ed apparire una grossa testa
colla pelle fulva picchiettata di nero, che ricordava quella d'una tigre, con una larga bocca irta di
lunghi ed acuti denti. Gli occhi di quella fiera,
contratti in forma d'un i come quelli dei gatti,
si fissavano sui due cacciatori
mandando certi lampi che avevano i riflessi dell'acciaio.
- Eccolo!... -
esclamò Raffaele. - Indietro!... È affar mio!...
Un soffio potente, che parve un sordo ruggito, uscì dalle
mascelle aperte della fiera. Era una
minaccia tremenda, annunciava l'imminenza dell'assalto.
- Gli pianterò una palla
fra i due occhi - disse Alonzo.
- Guardati, cugino.
Puntò rapidamente il fucile che teneva in mano e senza
attendere altro fece fuoco. Era ormai troppo tardi! La tigre americana aveva preso lo slancio ed era partita con impeto
irresistibile, descrivendo una fulminea parabola.
II fumo non si era ancora dileguato che l'imprudente cacciatore giaceva a terra.
Il giaguaro gli stava sopra, pronto
a stritolargli il cranio o ad aprirglielo con un formidabile colpo d'artiglio.
Raffaele aveva
gettato un grido d'orrore. La scena era stata così rapida che gli era mancato
il tempo di prevenire o d'arrestare lo slancio della belva.
A sua volta aveva puntata l'arma, ma la tema di sbagliare la
mira e di colpire invece il cugino,
lo aveva trattenuto. Gettò un secondo grido.
- Aiuto!...
D'improvviso vide aprirsi precipitosamente i cespugli,
apparire un indiano armato di una di
quelle pesanti mazze di legno di ferro che usano i rivieraschi dell'Orenoco e che chiamatisi wanaya, armi formidabili che con un solo colpo sfracellano il
cranio più resistente.
Senza pronunciare una parola, senza nemmeno gettare uno
sguardo sul cugino d'Alonzo, con un
coraggio temerario, quell'indiano
piombò addosso al giaguaro e con un
tremendo colpo della sua pesante arma lo fece stramazzare al suolo fulminato.
La terribile wanaya
gli aveva fracassato il cranio. Raffaele
si era precipitato verso Alonzo, il
quale, dopo aver respinto il cadavere
sanguinante della fiera, s'era
alzato a sedere.
- Sei ferito, cugino
mio? - gli chiese con voce tremula.
- No - rispose Alonzo tergendosi il freddo sudore che
inondavagli il viso già pallido. - Ma se
il soccorso tardava, ero spacciato.
- Nemmeno una
graffiatura?
- Neanche le vesti
lacerate. Il giaguaro ha avuto un istante di esitazione ed è stata la mia salvezza.
Ti giuro però, cugino mio, che mi sento tutto scombussolato.
- Presto, ritorniamo
alla piantagione. Una vecchia bottiglia di vino di Spagna ti farà bene.
Alonzo si era
alzato raccogliendo il fucile che lo aveva così male servito in quel supremo
istante. Stavano per ricacciarsi nella foresta, quando entrambi si arrestarono,
esclamando:
- E l'indiano?
Si volsero di comune accordo e scorsero il salvatore ritto accanto ad una palma
massimiliana, appoggiato alla sua formidabile mazza, immobile come una statua
di porfido.
Era un indiano di
alta statura, colle membra assai sviluppate, il petto ampio, coi lineamenti
duri, angolosi e gli sguardi cupi che avevano un non so che di triste ed i
capelli lunghi e neri, adomi d'una penna d'aracari, cioè un piccolo tucano
molto comune sull'Orenoco.
Aveva il petto adorno di varie linee dipinte in rosso, il
collo d'una fila di perle azzurre, alle quali era sospesa una placca d'oro in
forma di mezzaluna e per unico vestito portava un sottanino di cotone
finissimo, intessuto con pagliuzze d'argento, il guayaco come lo chiamano gl'indiani.
Vedendo i due
cacciatori avvicinarglisi, l'indiano
non si era mosso, però i suoi cupi sguardi si erano accesi d'una viva fiamma.
- Chi sei? -
chiese Raffaele.
- Yaruri -
rispose l'indiano che doveva
comprendere perfettamente lo spagnolo.
- Sei schiavo in
qualche piantagione?
- Sono uomo libero
- disse la pellerossa con fierezza.
- Da dove vieni?
- Molto da lontano,
dai paesi ove il sole tramonta.
- Hai disceso
l'Orenoco per cacciare forse il manate?
- Forse - rispose
l'indiano con un sorriso misterioso.
- Sei valente, te lo
dico io.
- Lo so, nessuno
eguaglia il braccio di Yaruri.
- Grazie del tuo
soccorso - disse Alonzo. - Ti serberò riconoscenza e se vorrai seguirci
alla piantagione, non avrai a lagnarti di noi.
- Intanto prendi,
amico valoroso - disse suo cugino.
Estrasse un borsellino contenente parecchie pezze d'oro e lo
porse all'indiano, ma questi lo
gettò a terra con supremo disprezzo, dicendo con aria tetra:
- A me dell'oro?...
Sono qui venuto per offrirne a te!...
I due cacciatori,
stupiti di vedere quell'indiano
respingere quell'oro, tanto ardentemente desiderato dai suoi fratelli rossi per abbandonarsi poi a
delle tremende ebbrezze che durano delle settimane intere, si erano guardati
l'un l'altro per chiedersi se quell'indiano
era pazzo. Quando udirono quelle parole, la loro meraviglia non ebbe più
limiti.
- Tu ci offri dell'oro!
- esclamarono.
- L'ho detto -
rispose l'indiano. - Se gli uomini bianchi mi seguiranno nei
lontani paesi ove il sole tramonta, li farò tanto ricchi da non saperne cosa
fare dell'oro.
- Ma da dove vieni tu?
- chiese Raffaele.
- Dall'Alto Orenoco.
- A quale tribù
appartieni?
- A quella dei
cassipagotti. La conosci tu?
- Ne ho udito
vagamente parlare qualche volta e con terrore.
- Se vorrai, io ti
condurrò lassù.
- I tuoi compatrioti
non sono antropofaghi?
- E’ vero.
- E da cent'anni
spaventano le vicine regioni.
- E’ vero - disse
l'indiano con orgoglio.
- E vuoi condurmi
presso i tuoi?
- Sì, se mi seguirai.
- E tu mi assicuri che
là vi è dell'oro?
- Fin che vorrai.
- Non ti credo,
quantunque si sappia che l'Alto Orenoco è ricco d'oro.
Un sorriso contrasse le labbra dell'indiano.
- Tu dunque non hai
mai udito parlare degli eperomeri? - chiese.
Udendo quel nome, il piantatore
aveva emesso un grido di stupore.
- Hai parlato degli
eperomeri! - esclamò.
- E di Manoa, hai mai
udito parlare? - continuò l'indiano.
- Di Manoa!... Potenza
di Dio!... Tu parli di Manoa!...
II piantatore che
pareva in preda ad una viva eccitazione, guardava l'indiano con due occhi che brillavano di cupidigia. Pareva che
quella parola di Manoa lo avesse
completamente scombussolato.
- Cugino, - disse Alonzo, che non aveva compreso nulla o
quasi nulla di quanto aveva detto l'indiano
e che non aveva mai udito parlare né degli eperomeri,
né di Manoa, - mi sembri commosso.
- E vi è da commuovere
l'uomo più impassibile della terra - rispose il piantatore con voce rotta. - Si
tratta di conquistare ricchezze incalcolabili, di monti d'oro, d'una città d'oro,
mi comprendi?
- D'una città d'oro!...
- esclamò Alonzo. - Ma cosa narri tu?...
- L'antica leggenda
sta per diventare realtà. Barreo ne ha parlato, il cavalier Raleigh, Giovanni
Martinez e Keymis non si sono sognati, no, l'esistenza degli eperomerii... Ah!
Alonzo, vedo milioni, vedo dei miliardi!...
- Ma impazzisci?
- No, Alonzo, il mio
cervello è a posto, ma che questo nome di Manoa l'abbia un po' sconvolto, non
potrei dirti di no. Manoa!... Manoa! Gli eperomerii!... Quale inaudita fortuna!...
Poi volgendosi verso l'indiano
che conservava la sua inalterabile impassibilità, chiese:
- Ma è proprio vero
che tu mi condurrai là?
- Te l'ho detto -
rispose Yaruri.
- Ma non ci tradirai,
tu?
- A quale scopo?
- Che ne so io? Gli
uomini della tua tribù sono antropofaghi e possono aver bisogno di qualche
arrosto d'uomini bianchi per qualche rito misterioso.
- Non sono nelle tue
mani, io? Chi t'impedirà di uccidermi al primo sospetto?
- È vero - disse Raffaele.
- Verrai?
- Una domanda prima.
- Parla.
- Vorrei sapere per
quale motivo un indiano tradisce un segreto, gelosamente custodito per più di
tre secoli dagli uomini della tua razza.
Negli sguardi tetri dell'indiano guizzò un lampo sanguigno.
- Una vendetta! -
disse poi, con voce cupa.
- Non ti comprendo.
- A te l'oro, a me il
supremo potere e la vita di Yopi.
- Chi è questo Yopi?
- Un uomo che odio e
che bisogna che uccida - rispose l'indiano
con accento feroce.
- Ma perché l'odii?
- È un mio segreto.
Vorrai aiutarmi? Io ti darò tanto oro da riempirne venti canotti.
- È lontano il tuo
paese?
- E non c'ingannerai?
- Lo giuro su questo
piaye - disse Yaruri, toccando
una pietra azzurra che portava sospesa al sottanino.
- Ti credo. Alonzo,
cugino mio, torniamo alla piantagione. Fra un mese noi saremo tanto ricchi d'acquistare
dieci città.
- Ma non ho compreso
bene di cosa si tratta, Raffaele.
- Ti spiegherà meglio
il dottore. Vieni, Yaruri!...
|
Nessun commento:
Posta un commento