Il titolo del romanzo
è tratto dal nome del protagonista: Simon Dale, che narra la storia della
propria vita, o, ad essere più esatti, la storia d'un periodo della propria
vita, periodo breve, ma agitato e intenso di avventure fortunose e di sorprese
strane.
Simon Dale è una
specie di d'Artagnan inglese, ma inglese nell'anima, meno bollente e più
misurato del suo fratello di Francia,
più ingenuo forse, certo però interressante.
Simon Dale è
dunque un romanzo avventure! E quali
avventure.
La sua stessa nascita è prodigiosa. Betty Nasroth, la strega del
villaggio, aveva preannunziato il suo avvento circa un anno prima, poiché
aveva predetto che nel giorno appunto in cui era nato, a un miglio di distanza dalla
chiesa parrocchiale, sarebbe nato un
maschio, che avrebbe amato dove il re amava, che avrebbe saputo ciò che il
re nascondeva, e che avrebbe bevuto
nella coppa del re.
Un mistero che
piano piano si dipana intrecciandosi con un triangolo amoroso che molte sorprese riserverà al nostro eroe.
Stupende le figure delle due eroine, Lady Barbara Quinton, giovane
aristocratica di eccezionale
bellezza, e Nelly Gwyn, amante e favorita del Re di
Inghilterra.
Quando il romanzo
uscì la critica dell’epoca così lo
presentò: “Simon Dale è anche opera
d'arte di grande valore. Dove l'autore eccelle è particolarmente nella
rappresentazione dei caratteri e nel dialogo; a questo pregio egli deve anche
la sua fortuna di autore drammatico. Pochi scrittori, crediamo, sono padroni
del dialogo quanto lui. In taluni suoi racconti la favola è nulla, la trama è
tenuissima, ma il dialogo è tutto. In Simon Dale l'interesse supremo della
trama e l'abilità del dialogo e del racconto concorrono insieme a farne uno dei
romanzi più attraenti che si possano leggere.”
La
presente versione
che si basa su una
traduzione anonima
è stata completamente rivista,
aggiornata
ed integrata con episodi e dialoghi nuovi, per rendere più attuale e
fruibile il
romanzo.
A corredo immagini
dell’epoca ed altre aggiunte per la presente
edizione.
Le protagoniste della Storia
Barbara Quinton
Barbara — figlia del nobilissimo lord Quinton, il gran
signore del villaggio, padrone del
castello e del parco — si divertiva a tenermi ad una certa distanza, perchè
lei era un’ereditiera.
Tuttavia eravamo buoni amici; ella talvolta mi offendeva, ed
io accettavo le offese; ella perdonava la mia rozzezza, ed io accettavo il
perdono, mentre il lord e la lady suoi genitori, ritenendomi troppo
basso per esser temuto, ma abbastanza alto per essere favorito, mi mostravano
molta simpatia.
Dunque, come dicevo, vidi l’alta figura slanciata, i capelli
bruni e gli occhi orgogliosi di Barbara
Quinton; e quegli occhi erano accesi di rabbia, mentre la loro
proprietaria li fissava su una persona cui io non avevo mai preso in
considerazione e che era in compagnia di Barbara.
Nelly Gwyn
Le superbe forme della sua ben costruita struttura venivano
messe in evidenza da un vestito londinese alla moda che solamente a metà
nascondeva il suo petto ineccepibilmente modellato, lasciando attraverso le
aperture ai lati spuntare senza vergogna le cosce levigate nelle loro
strettissime braghe color rosa.
Sembrava poco più di una fanciulla (poteva avere sedici o diciassette anni al più); pure non
si mostrò affatto confusa nel salutarmi, anzi, al mio complimento, ella gridò,
alzando le mani in atto di fìnto stupore:
— Un uomo, in fede mia! Un uomo da queste
parti!
Incipit
Io, Simon Dale, nacqui il settimo giorno del settimo mese dell’anno 1647 di
Nostro Signore. La data era buona,
in quanto che in essa si trova tre volte il sette, numero divino; ma cattiva in quanto che cadeva in un’epoca triste per la nazione e per la nostra casa; epoca in cui gli uomini avevano cominciato ad andar dicendo che se il re non manteneva le sue promesse, era
molto probabile che non mantenesse nemmeno la testa sulle spalle; quando quelli
che avevano combattuto per la libertà
già sospettavano che la vittoria
avrebbe portato nuovi tiranni; e per finire quando mio padre, dopo aver confidato nel re
prima, nel Parlamento dopo, e in
ultimo nè nell’uno, nè nell’altro, aveva perduto la maggior parte delle sue
sostanze, e da una grande ricchezza era caduto in strettezze. Tale è la
consueta ricompensa di un onesto patriottismo accoppiato ad una mente
intelligente ed aperta.
Del resto la data,
buona o cattiva, non era stata scelta da me, e neppure, a quanto diceva la gente,
era stata scelta dai miei genitori, visto che tutto era stato regolato e
prestabilito dal destino.
Betty Nasroth, la
strega del villaggio, aveva
preannunziato il mio avvento circa un anno prima, poiché aveva predetto che nel
giorno appunto in cui venni al mondo, a un miglio di distanza dalla chiesa parrocchiale, sarebbe nato un maschio, che avrebbe amato dove il re amava, che avrebbe saputo ciò che il
re nascondeva, e che avrebbe bevuto
nella coppa del re.
Tale profezia
diede molto da fare ai miei genitori; ma io, senza curarmene punto, mi limitai a
dare ragione a Betty Nasroth riguardo
la data, venendo al mondo il giorno esatto. A questo mondo, difficilmente un
uomo può cominciare meglio la vita che tenendo fede ad una donna.
Essendo fermamente deciso a fare in modo che la mia infanzia
sia meno tediosa a narrarsi di quello che lo fu nella realtà, passerò subito
all’epoca in cui raggiunsi l’età di diciotto anni.
Il mio caro padre era allora in cielo, ed anche la vecchia Betty; ma mia madre viveva, ed
il vicario ed il re erano tornati al loro posto, l’uno in paese, l’altro a Londra.
Ero già grande e c’era estremo bisogno che mi aprissi una
via nel mondo, perchè se era tornato il re,
non erano tornate le nostre ricchezze, e non avevamo rendita bastante per
mantenere mia madre e le mie sorelle nella loro vecchia posizione.
— Il guaio — osservava il vicario grattandosi il naso come faceva
sempre nei casi difficili — è che la
profezia di Betty Nasroth giova poco o nulla, perchè le azioni a cui si
riferisce sarebbero piuttosto occasioni di spese che sorgenti di guadagno.
Nulla di straordinario che il vicario, nella sua immaginazione un po’ fantastica, s’occupasse
molto della profezia di Betty Nasroth,
parlandone in tono semi-credulo e
semi-ironico. Per conto mio, io che, dopo tutto, sono la parte interessata,
non credo che una profezia così oscura sia un buon talismano da appendere al collo di un individuo: i sogni della giovinezza sono già
abbastanza fervidi anche senza simili incentivi. Fatto sta che la predizione mi era sempre presente alla
mente, attraente e provocante come una ragazza
che mette la sua bella faccia presso la vostra e che voi non osate baciare. Le
dedicavo le mie ore di ozio e talvolta, non contento, anche le mie ore
d’occupazione.
Invece di cercare da me la mia strada, mi abbandonavo alla
sua volontà ed all’impero dei suoi ordini sommessi. In famiglia erano tutti
persuasi che io dovessi risolvermi alfine a cercare fortuna, ma sui mezzi non
s’era d’accordo.
— Dovete lavorare, Simon — diceva mia sorella Lucia, che era fidanzata al giudice Barilard.
— Dovete pregare — diceva mia sorella Maria, fidanzata ad un santo
ministro di Dio.
— La profezia di Betty Nasroth non dice niente
di tutte queste cose — rispondevo io fieramente.
— Sono sottintese, caro ragazzo —
concludeva mia madre.
Il vicario si
grattava il naso.
Pure non erano quelle eccellenti e zelanti consigliere che
dovevano aver ragione, ma il vicario
ed io. Perchè se fossi andato a Londra,
come esse volevano, invece di restare dov’ero, la peste che infieriva nella capitale
sarebbe stata forse un cimento troppo forte per la profezia di Betty Nasroth, e la sua predizione sarebbe andata probabilmente a finire con me in una
fossa.
Invece, rimanendo a casa, rimasi anche vivo, e di quella
gran calamità e degli orrori che angustiarono la città sentii solo parlare vagamente,
perchè il morbo non giunse in paese e noi potemmo con menti serene e
in buona salute moralizzare sui peccati degli iniqui cittadini.
Pure la peste
ebbe una parte, e non piccola, nel mio destino,
perchè essa portò nuovi inquilini nelle stanze
del cottage del giardiniere.
Un giorno io camminavo, come ne avevo il permesso, nel parco del Quinton Manor, quando vidi la
giovane persona della signorina Barbara (se devo dire la
verità ero venuto apposta per vederla), elegantemente abbigliata in una leggera
veste bianca.
Barbara — figlia del nobilissimo lord Quinton, il gran
signore del villaggio, padrone del
castello e del parco — si divertiva a tenermi ad una certa distanza, perchè
lei era un’ereditiera.
Tuttavia eravamo buoni amici; ella talvolta mi offendeva, ed
io accettavo le offese; ella perdonava la mia rozzezza, ed io accettavo il
perdono, mentre il lord e la lady suoi genitori, ritenendomi troppo
basso per esser temuto, ma abbastanza alto per essere favorito, mi mostravano
molta simpatia.
Dunque, come dicevo, vidi l’alta figura slanciata, i capelli
bruni e gli occhi orgogliosi di Barbara
Quinton; e quegli occhi erano accesi di rabbia, mentre la loro
proprietaria li fissava su una persona cui io non avevo mai preso in considerazione
e che era in compagnia di Barbara.
Questa era un’altra signorina,
più piccola di statura, più pienotta, vestita bene come Barbara, con un volto illuminato da un sorriso allegro e da due
occhi che si socchiudevano in uno scintillio di gaia malizia.
Quando Barbara mi
vide, non fece, secondo il suo solito, fìnta di non vedermi, ma corse subito a
me gridando con molta indignazione:
— Simon, chi è quella ragazza? Ha osato dirmi
che la mia gonna non è di taglio elegante, e che pende come una vecchia sottana
attaccata a un palo.
— Signorina Barbara — risposi — chi bada al taglio della sottana, quando chi
la porta è fatta alla perfezione?
Io ero giovane,
allora, e non sapevo che complimentare una donna
a spese della sua toilette non è il miglior mezzo per farle piacere.
— Come siete stupido! — dichiarò Barbara — Vi domando chi è quella ragazza e voi rispondete scemenze.
— Quella ragazza — risposi io contrito — è una signorina di Londra che è fuggita alla
peste della capitale ed alloggia con sua madre nel cottage del vostro
giardiniere. Ma io non credevo di trovarla qui nel viale.
— Non ve la troverete più! — disse Barbara.
Poi aggiunse improvvisamente:
— Perchè la guardate?
Infatti era vero che io guardavo quella straniera, e alla domanda di Barbara
la guardai anche più attentamente.
— E’ molto bella — dissi. — Non vi sembra, signorima Barbara.
— Bella? — gridò Barbara. — Ma che ne sapete
voi di bellezze, signor Simon?
— Quello che ho imparato al vostro castello,
— risposi con un inchino.
— La conoscete? — domandò Barbara.
— No, ma possiamo rimediare — risposi
sorridendo.
Mai al mondo vi era stato un ammiratore più fedele ad
una ragazza di quello che fossi io
per Barbara Quinton. Tuttavia, un
po’ per la convinzione che se un uomo si umilia, la migliore delle ragazze gli mette il suo bel piedino sopra
il collo, un po’ per il mio amore a tutto ciò che sa di nuovo, decisi
fermamente di avvicinare l'ospite
del giardiniere; e non cambiai idea
nemmeno vedendo Barbara scuotere la
testa in atto di cattivo umore voltandosi per andarsene.
— E’ soltanto una cortesia — protestai — interessarsi della sua salute, tanto più che
venendo da Londra ella sarà sfuggita per caso dalla peste.
Barbara scosse di
nuovo la testa, esprimendo chiaramente la sua opinione.
— Ma se desiderate che io passeggi con voi...
— cominciai.
— Non ci pensavo nemmeno lontanamente —
ella interruppe. — Sono venuta qui per
stare sola.
— E’ mio piacere obbedirvi — dissi,
scoprendomi il capo; ma Barbara,
senza nemmeno guardarmi, si diresse verso la casa.
Un po’ pentito, ma come sempre ostinato, la guardai mentre
camminava, ma ella non si voltò mai indietro. Forse, se si fosse... ma lasciamo
stare. Ciò che è successo è già abbastanza. Se mi occupassi anche di quanto sarebbe
potuto succedere, il mio racconto
andrebbe sino alla fine del mondo. Repressi ogni rimorso, e mi avvicinai alla straniera, augurandole buon giorno in
modo cortese.
Ella rise, non so perchè.
Le superbe forme della sua ben costruita struttura venivano
messe in evidenza da un vestito londinese alla moda che solamente a metà
nascondeva il suo petto ineccepibilmente modellato, lasciando attraverso le
aperture ai lati spuntare senza vergogna le cosce levigate nelle loro
strettissime braghe color rosa.
Sembrava poco più di una fanciulla (poteva avere sedici o diciassette anni al più); pure non
si mostrò affatto confusa nel salutarmi, anzi, al mio complimento, ella gridò,
alzando le mani in atto di fìnto stupore:
— Un uomo, in fede mia! Un uomo da queste
parti!
Soddisfatto perchè mi aveva preso per un uomo, m’inchinai di nuovo.
— O per lo meno — aggiunse — uno che sarà presto un uomo, se vorrà il
cielo.
— Lo vedrete uomo prima di diventar vecchia
— dissi cercando di nascondere la mia delusione.
— Ed anche un uomo che ia risponder bene! Ah!
è meraviglioso!
— Non tutti manchiamo di spirito nel paese,
signora — dissi, sorridendo a fior di labbra, poiché pensavo che le persone galanti a Corte dovessero far così — e
dopo che la peste è venuta a Londra, non manca nemmeno la bellezza.
— Ma è meraviglioso — disse lei in
un’ammirazione un po’ burlesca. — V’insegnano
a parlare in questo modo, qui, signore?
— Signora, certi insegnamenti s’imparano negli
occhi come i vostri.
Malgrado tutta la sua aria beffarda, quella conversazione mi
divertiva assai. Senza dubbio avevo imparato quella frase in qualche romanzo, poiché ero sempre stato
lettore appassionato di tali sciocche cose.
Ella si rivolse a me con gli occhi maliziosi e la bocca
sorridente.
— Allora certamente voi dovete essere quel
Simon Dale, di cui mi ha parlato il giardiniere.
— Infatti mi chiamo così, signora; ma il
giardiniere mi ha giocato un brutto tiro, perchè io ora non ho niente da darvi
in cambio del vostro nome.
— Avete un bellissimo mazzo di fiori in mano.
Se me lo darete vi dirò il mio nome.
Il mazzo che io avevo in mano l’avevo raccolto veramente per
Barbara Quinton, ed intendevo di
servirmene come un’offerta di pace. Ma Barbara
mi aveva trattato male, e la straniera
che avevo dinanzi lo guardava con occhi così smaniosi...
— A dire il vero — dissi, incerto ancora
sul da farsi — avevo raccolto questi
fiori per un’altra persona.
— Meglio così! Avranno un odore più soave —
rispose ella ridendo, e stendendo una mano meravigliosamente delicata per
prendere i fiori.
— Avete imparato a Londra questa lezione! —
domandai allontanando i fiori.
— E’ vera in città come in campagna, signore;
dovunque vi sia un uomo che raccoglie fiori, una donna ama profumarsene.
— Bene — dissi — il mazzo è vostro a prezzo...
E così dicendo le tesi il mazzo.
— Che prezzo? Vorreste sapere il mio nome?
— A meno che non vogliate che ve ne dia uno di
mia scelta — dissi con un’occhiata che avrebbe voluto essere irresistibile.
— No, vi dirò io un nome con cui dovrete
chiamarmi. Mi potrete, chiamare Cydaria.
— Cydaria? Un bel nome!
— E’ un nome come un altro.
— Cydaria, e basta?
— Quando mai un poeta mette due nomi in testa
ad un sonetto? Voi certamente volete sapere il mio per un sonetto.
— Così sia, Cydaria — dissi.
— Così sia, Simon. E Cydaria non è un nome
bello quanto Barbara?
— Ha un suono strano, ma è abbastanza bello.
— Ed ora... il mazzo.
— Questa galanteria dovrò scontarla —
dissi.
Ma il patto era
fatto e dovetti dare i fiori.
Cydaria li prese,
col viso raggiante e sorridente, e vi affondò il nasino. Io la guardavo,
colpito dalla grazia dei suoi modi e dalla sua spigliatezza.
Ella alzò gli occhi e vedendo che la fissavo, fece una
piccola smorfia colla bocca, come se lo fosse aspettato, ma il mio sguardo non
le diede nè turbamento, nè piacere. Barbara,
per un tale sguardo, sarebbe rimasta fredda e altera per più di un’ora.
Cydaria,
sorridendo nella sua sprezzante indulgenza, mi fece un altro inchino come per
allontanarsi, ma non se ne andò. Mentre si inchinava ebbi modo di ammirare, per
un istante, la nudità del suo seno.
— E’ bello questo parco — disse — ma non è facile trovare la via per uscirne.
Io mi feci avanti.
— Se aveste una guida... — cominciai.
— Già, se avessi una guida, Simon... —
mormorò.
— Potreste trovare la strada, e la vostra
guida sarebbe...
— Sarebbe contenta, ma poi...
Ella si fermò.
— Che cosa poi? — domandai.
— Barbara sarebbe sola.
Io esitai. Guardai verso la casa e guardai Cydaria.
— Mi ha detto che desiderava esser sola —
dissi.
— Davvero? Come ha fatto a dirvelo?
— Ve lo dirò strada facendo.
Cydaria rise di nuovo.
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