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- La Trilogia di Eleanor - Trama
- Introduzione ad Eleanor di Eleanor LeJune
- Eleanor di Eleanor LeJune
- Un brano tratto dal Romanzo Eleanor di Eleanor LeJune
- Mark e Claudine
Le prime ore del mattino, Eleanor le trascorre nello studio di Jean-David. Di là, il suo sguardo spazia sul giardino di rose che
circonda la villa. Quando la brezza estiva passa tra gli alberi, penetrando
dalla porta aperta, un sottile, intenso profumo di rose si spande nella stanza.
Si sorprende a pensare che la luce degli specchi e dei
damaschi le piace più che la luce del sole e delle acque; la poesia di quelle
stanze, destinate ad un’ignota vita, la commuove più che la poesia del bosco
coi suoi decrepiti ippocastani e le elci malinconiche.
Spesso, sdraiata per lunghe ore sopra l’immenso divano
dorato, la testa reclinata sul guanciale a ricami, i piedi poggiati sulla seta
dei cuscini, si smarrisce di sogno in sogno. La brunita levigatezza dei tessuti
ha per lei misteriose voluttà, i delicati cammei, che ingombrano i tavolini,
inestimabili ed arcane significazioni; ognuno di essi non può che occupare quel
posto, ognuno di essi è necessario, come la lama di sole che, dalla porta
socchiusa dell’atrio, dilaga nella prima stanza e spinge riflessi nella
seconda, riempiendola di una semiluce d’ipogeo. Le sete e le stoffe lamellate d’oro
acquistano una smorta vita e tutti i colori incupiti ricordano l’ora indecisa,
fra tramonto e notte, nella quale soltanto il bianco e le tinte chiarissime
mantengono un rilievo.
Nella semioscurità, gli specchi vuoti la riproducono
all’infinito, spingendola per una fila senza fine di grandi sale verso il
salone fatato, al quale le utopie della sua fantasia cercano inutilmente una
porta aperta.
Ha le gote accese, il drappo che l’avvolgeva è scivolato via
lasciandola completamente nuda ed Ella s'incanta come un poeta dinanzi
all'aurora del suo corpo. Una sottile seduzione, un profumo di giovane donna
esala da quella struttura tenera, ma dai contorni scattanti e le finezze
audaci. Sorride nella penombra, cogli occhi socchiusi, e quella penombra che la
ingrandisce, le rende un sogno per un altro.
Indistinte fantasticherie le vagano per la mente. Il ronzio
ostinato delle api che attraversa l’erba lunga, non rasa, sembra rendere il
silenzio ancora più opprimente.
La casa, alla vigilia di quella nuova esperienza, le pare
moltiplicare i suoi silenzi. Eleanor
pensa, risalendo il corso della propria vita, ai prossimi giorni limpidi
d’affascinanti e terribili incertezze. Quel sì che ha pronunciato con voce
vibrante, il cuore grosso d’orgoglio, quasi che tutto il mondo fosse ad
applaudire il suo eroico coraggio di fanciulla, lo ha mille volte meditato nel
silenzio della propria camera, di notte, quando Jean-David, dopo averla penetrata a lungo, dorme e le tenebre si
diradano sulla soglia di un mondo lontano; e deve riconoscere che le è sfuggito
nell’inconscia scelta di un momento supremo. Sta rischiando il suo matrimonio
in un gioco sconosciuto, ma tanto più attraente che la posta non le sembra
eccessiva. Ma soffre, comunque, le prime febbri del dubbio in un tumulto d’affetti
e di ragionamenti.
Tutte le energie della sua volontà e delle sue passioni
lottano intorno a questo sì, che il buon senso scandisce con la sferza della
propria sottile ironia, mentre ella segue in se stessa le vicende di quella
battaglia, coll'ansia smemorata dello spettatore, che si perde in una troppo
acuta riflessione.
E’ sola. Nessun'eco la disturba, nessuna voce la distoglie
dai suoi pensieri. E’ sola con se stessa, col proprio proposito, col sentimento
angoscioso della sua grandezza e l'affanno compresso di vere, indeterminate, e
forse invincibili, difficoltà. Si accorge che, pure fortificandosi nella sua
decisione, non riesce a comprendere quale sarà il suo futuro; il cuore le batte
sotto le strette della paura, mentre il pensiero corre innanzi verso
indeterminate visioni. Si esalta ancora, considera la sua resa come l’estremo
atto d’amore che deve a Jean-David.
Il pesante torpore che avvolge le stanze vuote è intriso di
voluttà, un bisogno rovente d’amore le giunge dalla campagna in fiore, dalle
foglie, dagli alberi assorti nel sole, dai prati, ove il fieno falciato si
essicca evaporando i più dolci profumi. L’ombra stessa della stanza è piena di
sollecitazioni. Gli impercettibili soffi di vento somigliano a respiri
soffocati, ai suoi sospiri che si perdono nel segreto di quell’intontimento.
Che rimarrà, dopo, del suo amore per Jean-David? Non ha un’idea precisa, nessun concetto chiaro; un velo
si stende lento e spesso sulla sua anima e, a poco a poco, gliela avvolge.
Trema in tutto il suo essere, insicura del prossimo
mutamento. Non solo ha paura di ciò che accadrà, ma ha paura anche di non
esserne all’altezza. Eppure si sente matura: un nucleo nutrito di carne fresca,
di sangue pulsante, di possenti turgori.
Quando si leva dal divano sembra un fiore che drizzi la
piccola anima sopra un duplice stelo e offra i profumi della sua corolla alle
ignote labbra, perché sulle sue labbra trovino succhi lungamente desiderati.
Con il caldo, l’attesa si fa di secondo in secondo più
intollerabile, in un ozio che la lascia senza forze. Cedendo alla debolezza del
corpo le pare di liberarsene e di slanciarsi verso distanze immense, amiche
sconfinate delle sue fantasticherie.
Il pensiero corre al marito. Certe sue tendenze verso sogni
orgiastici, appena riconoscibili all'inizio, nelle ultime settimane si sono
manifestate con insistenza ed Eleanor
deve confessarsi d’averle incoraggiate, abbastanza attratta, come molte donne,
dall’ambiguità della propria natura.
Presa dal fascino delle argomentazioni maschili e dall’orgoglio
di mostrarsi evoluta ha accondisceso, schiava dell’amore che la lega a Jean-David, capace di assorbire la
totalità dei suoi sentimenti e dei suoi sensi.
Si sorprende a pensare che la sua vita di fanciulla, viziata
dalla tenerezza del marito, si è sempre svolta nell’insignificanza delle
abitudini domestiche, senza nessun alimento sostanzioso per lo spirito e
nessuna prova corroborante per il carattere.
In breve, senza scosse. Sono tre anni che è la moglie felice
di Jean-David e sono tre anni che
dedica le sue intere giornate a lui. Di natura è fedele. La sua armonia con Jean-David è così riuscita che non
concepisce neppure di potersi interessare ad un altro uomo.
Non che manchino i corteggiatori: la sua bellezza poco
comune, la sua giovinezza, resa ancora più impudica dall’età del marito, il
corpo spesso messo in evidenza dalle vesti corte o trasparenti, attirano su di
lei il desiderio di quasi tutti gli uomini che incontra.
Ed è fiera di ciò. Ma l'idea di arrendersi all'uno o
all'altro di questi pretendenti le sembra irreale e illogica. Deve però
ammettere che, alla banalità del matrimonio, lei non ha opposto che le risorse
del suo bel corpo.
Cosciente di aver centrato il problema, trasalisce.
Nell’osservarsi la mano, levigata come avorio antico, dalle
rosee unghie sottili, e il braccialetto di zaffiro che le scivola sul polso, Eleanor è colpita dalla facilità con
cui tratta argomenti così scabrosi.
Come sono lontani i tempi in cui era una pudica educanda.
Ricorda il giorno in cui per la prima volta aveva varcato la porta del
collegio: la vista del chiostro cupo e delle suore avvolte nei larghi abiti
scuri, che scivolavano come ombre su scarpe di cimosa, le diffuse la smania di
scappare, ma il gelo della scuola e l'ombra della cappella la soffocarono come
un'aria impregnata di cloroformio.
Rimase istupidita per giorni, poi la sua vivacità selvaggia
prese il sopravvento e finì così per accorgersi che quei cortili foschi si
animavano nelle ore di ricreazione, risuonavano di grida festose e si vivacizzavano
delle corse, dei volteggi, degli sgambetti, dei giochi nuovi delle compagne di
collegio ed allora vi si buttò con tutto il suo impeto e con la violenza del
suo temperamento indomito.
Cominciarono a volerle bene non solo le amiche più sveglie
ma anche quelle timide e pensose che non abbandonavano, neppure nelle ore di
ricreazione, l'aria compunta della preghiera.
E furono quelle le preferite: Marie, Helen e Katryn, piccole, graziose e fragili,
che si muovevano silenziosamente, parlavano sommesse, arrossivano per nulla,
trasalendo al minimo rumore improvviso. Eppure tanto audaci da avere ciascuna
di loro un’amante.
Le guardava stupite, perché alla sua ammirazione sembrava
quasi temerario il pensiero di imitarle, ma il loro coraggio, il misticismo erotico,
il racconto delle loro avventure notturne, a poco a poco la penetrarono,
trasformando il suo ardore selvaggio, ingigantendo la sua fantasia sino ad
ammorbidire la sua sensibilità disordinata, assopendo nel fervore della
fantasia i suoi impeti giovanili. Arrossendo le pregò di aiutarla.
Conobbe Etienne.
Il viso magro nel suo bruno pallore parve perdersi nei grandi occhi estatici
del giovane amico; le mani le si giungevano spontaneamente sul suo sesso ed il
suo cuore fu insieme divorato dalla paura del peccato e dall'ardore della
contemplazione.
Letteralmente rapita dalla struggente bellezza degli
zampilli di sperma sul suo corpo nudo, quella visione continuava a rifulgerle
velatamente sul capo, nelle notti solitarie, tra languori di musiche celesti,
nella struggente assenza della verga dal profumo di sandalo, dura e dolce alla
lingua, tenera ai denti innamorati. Le sue labbra, in quelle notti, si
sentivano aride ed ella sapeva che le sue dita, nonostante i ricordi, non
sarebbero riuscite a soddisfare l’attesa del suo sesso.
Le amiche, alle sue esagerazioni, seguivano ammirate, ma un
po’ inquiete, la sua trasformazione che s’avviava verso una completa libertà di
costumi sessuali e l'additavano ad esempio alle compagne più morigerate, e si
compiacevano di lodarla a quelle più smaliziate. E lei non osava confessare
loro che era sempre vergine.
Un giorno, mentre un fiotto di sperma le imbrattava il
volto, Etienne l’aveva stretta tra
le braccia dicendo:
- Non lasciare che mi
innamori di te, ti supplico. Fa tanto male.
C’erano delle lacrime nei suoi occhi. Era eccitante e molto
commovente.
La sua audacia superò ogni limite. Impietosita, gli prese il
pene in bocca, lo ripulì dallo sperma appena sgorgato e lo succhiò sino a
quando non riesplose, ingoiando, per la prima volta, quella massa viscosa che
inesauribile sgorgava dal membro sussultante.
Nessuna si era spinta tanto avanti.
L’atto era stato di un’eleganza tanto delicata che l’aveva
colmata di languore e le aveva dato il desiderio d'un domani che non si
precisava al suo pensiero, se non come la dolcezza dell'ora presente fatta più
languida e più profonda, come la realtà della campagna riflessa nel sogno di
un'acqua stagnante.
All’ultimo anno delle normali superiori aveva conosciuto Jean-David, chiamato ad insegnare
storia e filosofia. Alto, magro, pallido come un asceta, egli aveva esercitato
subito un fascino ipnotico su tutte le collegiali, lei compresa.
Quando entrava serio e tranquillo nella scuola, e sedeva
appoggiando per un momento la fronte alla mano, le alunne tacevano sospese in
attesa che la sua voce pacata cominciasse la lezione con una chiarezza
cristallina che, animandosi a poco a poco, diventava per quelle ragazze soggiogate
facile e dolce come la poesia melica.
Nelle austere aule i sospiri si erano fatti più frequenti:
si fece più frequente il dono anonimo di qualche fiore abbandonato sulla
cattedra; Jean-David non poteva più
interrogare una ragazza senza vederla impallidire, non poteva più attraversare
i corridoi senza udire mormorii di parole appassionate, e di giorno in giorno
crebbe in lei il disagio di vivere in quell'avvampante atmosfera di amore, non
sempre fanciullesco, che tentava di palesarsi perfino con biglietti nascosti
tra i compiti e le prove degli esami bimestrali.
Nelle lunghe notti i deliri si confondevano coi sogni, i
sogni con le fantasticherie, le fantasticherie con la realtà.
E di giorno, dal suo posto nel primo banco, con la gonna che
lasciava intravedere il merletto delle mutandine, faceva danzare sotto gli occhi
di lui le sue cosce abbronzate, mentre con lo sguardo non l’abbandonava un
momento, arrossendo quando quello di lui la sfiorava, impallidendo quando egli
la interrogava.
Talvolta la sua voce, beandola, la smemorava cosi che
perdeva il filo del suo ragionamento. Un giorno, egli si accorse di quelle
distrazioni, e interrompendosi l’invitò a ripetere. Si alzò di scatto, e non
seppe dire neppure di che cosa lui parlasse. E il professore, vedendo il
tremore delle sue labbra e la fissità dei suoi occhi, sorrise benevolmente:
- Diceva dunque le
orazioni?
Era vero: senza accorgersene ella recitava fra sè e sé le
più folli poesie d’amore: era il linguaggio che le saliva dal cuore, sotto
l'impulso del suo amore inconfessato e profondo, spoglio di ogni soffio femmineo,
quasi mistico, così che pareva associarsi alla religione, diventarne la forma
più ardente.
Due giorni dopo l’aveva deflorata. Scoprì così l'ardore
sensuale, che s'allocava nel fondo più segreto della sua carne, lasciandola
vergine nella castità del suo corpo e del suo spirito.
Piccola creatura selvaggia, ella aveva soltanto accolto in
sé, lentamente, i desideri di conoscenza che non le erano sembrati violazione
di leggi morali o religiose, ma sentimenti nati e sbocciati con la sua stessa
carne, scaldati ed alimentati dalla sua stessa giovinezza.
Le cose che aveva creduto di sapere e che Etienne non le aveva svelato, con Jean-David le si rivelarono in
un’inconsapevole affinità di nutrimento per la sua immaginazione e per la sua
fantasia.
La sequenza dei pensieri la fa cadere dal mondo del ricordo
nel presente. Con angoscia prende coscienza che ben presto aprirà il suo
grembo, le sue terga e la sua bocca ad un pene sconosciuto.
Il pensiero la terrorizza e al contempo l’affascina. Ed è
vero che lei dovrà accettare, acconsentire nel vero senso della parola, perché
nulla le sarà inflitto a forza, nulla a cui non abbia in precedenza
acconsentito. Può e potrà sempre rifiutarsi, niente la tiene in schiavitù,
fuorché il suo amore.
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